In quali accezioni questo termine è ancora appropriato, quando si parla di Internet? Per capirlo, è indispensabile interrogarci sul senso stesso della parola “virtuale”. Questo termine ha una lunga storia. Originariamente latino, deriva da “virtus” e poi “virtualis”, nell’accezione di potenziale. E’ più noto nell’uso inglese, come in “virtual reality”, in cui indica una “realtà simulata elettronicamente”, per esempio, nei simulatori di volo e nei videogiochi, in cui l’uso resta appropriato. Tuttavia, anche in quest’ultimo caso è necessario un “caveat”, una nota d’attenzione non marginale, per l’effetto imitazione e la potenza dei “neuroni specchio”, le cellule nervose che filmano e copiano i comportamenti visti via gioco, prima di agirli. Alcuni studi indicano che i nostri bambini e adolescenti sono molto più impulsivi rispetto al passato, e che hanno una più lenta, e spesso inadeguata, maturazione del lobo frontale. Problema centrale, perché a questa parte del cervello spetta il ruolo di grande “inibitore” dell’impulsività, per rendere i nostri comportamenti “socialmente appropriati”. Ed è una parte che viene “allenata”, fin dalla più tenera età, attraverso il buon esempio (i bambini ci copiano in tutto) e mediante regole di comportamento fatte rispettare con affettuosa fermezza. Quanta dell’impulsività ingovernata dei nostri giovani dipende non solo dal lassismo educativo dei genitori e della scuola, ma anche dall’incitazione diretta e indiretta all’aggressività, attraverso giochi che stimolano e premiano comportamenti violenti, e che vanno così a ledere le concretissime basi neurobiologiche dell’autocontrollo, proprio a livello del lobo frontale? Tema scottante, oggi al centro di ricerche complesse. Anche il videogioco, in sé virtuale, ha dunque implicazioni reali e potenti per la salute mentale, il comportamento e il futuro dei nostri ragazzi.
Il termine “virtuale” diventa invece del tutto inappropriato, anzi francamente sbagliato, per tutto ciò che riguarda comportamenti immediatamente collegati al mondo reale. Non può e non dovrebbe essere esteso a tutte le situazioni che hanno a che vedere con Internet e, più in generale, con i mezzi elettronici. Anche perché contribuisce altrimenti ad un’erronea percezione di irrealtà, di impalpabilità, di non pericolosità e, conseguentemente, di irresponsabilità.
Nei fatti, Internet è sempre più reale, si infiltra nella nostra vita, la modifica, la condiziona in modo pervasivo, nel bene e nel male. E’ un mezzo straordinario per apprendere, per comunicare, per rendere disponibili conoscenze e cure, in modo davvero diretto e immediato. Usato bene è un mezzo stupendo. Come un farmaco, non è buono o cattivo in sé: è l’uso che ne viene fatto a qualificarlo. Via Internet si può salvare. E si può uccidere. Ci si può innamorare o prostituire. Si può essere angeli o demoni. Creare amicizie, o tradire gli amici o gli innamorati. Come nella vita.
E allora, dov’è il punto? Che Internet non è una zona franca, dove esprimere i propri istinti peggiori, perché “tanto è virtuale”. Nella maggior parte degli usi, anzi, Internet è crescentemente imbricato col mondo reale. La sua potenza divulgativa amplifica in modo esponenziale le conseguenze reali di ogni evento. E lo rende incontrollabile negli esiti.
Alcuni usano il web proprio come mezzo grossolano e diretto di offesa e di ingiuria, forti dell’anonimato che Internet sembra garantire, grazie a pseudonimi, nick-names e simili. Attenzione! E’ un anonimato illusorio, in quanto il computer da cui partono immagini, affermazioni, video e così via, è facilmente identificabile per via elettronica da parte di apparati di specialisti delle Forze dell’ordine. E allora? Va detto con chiarezza che il diffondere via web insulti e diffamazioni, verbali o via immagine, costituisce reato. Che questo reato, come altri comportamenti illeciti via Internet, è previsto e punito dalla legge e che il suo autore è identificabile e punibile. Ed è giusto che sia così, perché si tratta di fatti concretissimi nella dinamica e negli esiti, che di virtuale non hanno più nulla. Ecco perché questo tipo di comportamento può e deve essere severamente perseguito, come indicano alcune recenti sentenze, come ogni altra forma di diffamazione e abuso, anzi più severamente, vista la potenza amplificativa e l’incontrollabilità del mezzo. E in modo esemplare se il comportamento diffamatorio ha avuto conseguenze personali gravi.
Basta allora con la storia che Internet è “virtuale”, perché il mezzo è realissimo e concretissimo. Basta con gli insulti e le diffamazioni gratuite via web. Basta con il linciaggio morale che di fatto si verifica con la pubblicazione di foto intime, o altri dati personali, senza il consenso scritto della persona ritratta o filmata. Basta all’illusione di impunità. Gli autori di reati via web devono essere perseguiti e puniti perché i loro comportamenti sono reali e possono essere lesivi fino a diventare mortali.
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