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Perché desideriamo un figlio?

17/10/2011

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Desiderare un figlio a lungo è in sé garanzia di felicità per il figlio stesso? No. Alcuni acuti e puntuali commenti all’articolo di lunedì scorso sul giardino dei bambini desiderati meritano di essere condivisi. Scrive un attento lettore: «Quanti figli sono desiderati, e molto, non per amore ma per sfoggio personale, per volontà di affermarsi e replicarsi, nell’illusione che un figlio sia una proiezione di eternità? Sono figli voluti, certo, ma non realmente amati. Anche per questi bambini è stato difficile affermare la propria identità, il proprio sé rispetto alle aspettative e alle molte attese risposte in loro. Ed è rimasto in molti, a dispetto della crescita e dell’affermazione, un antico dispiacere».
Vero. Ecco che allora questo dispiacere può insinuarsi nelle pieghe segrete dell’identità, come un tarlo inquietante: «Quello che sono è quello che sarei potuto essere liberamente, o il “come tu mi vuoi” pirandelliano, questa implicita richiesta che molti genitori fanno ai figli di realizzare i loro sogni, di essere quello che i genitori non hanno potuto essere e fare quello che non hanno potuto fare, mi ha forzato dentro strade che non avrei percorso? Fino a farmi diventare, lo dico brutalmente, una protesi del loro stesso Io?».
Sono interrogativi duri, su quanto possa essere pesante, e condizionante, essere figli “dimostrativi”: della propria normalità (se si è infertili) o della propria eccellenza, se si pensa, a torto o ragione, di essere speciali.
Che cosa accende e alimenta il desiderio di avere un figlio ed essere genitori? Polarizzando la complessità delle motivazioni umane, più o meno consce, ecco che, da un lato, troviamo un bisogno “compensativo”, in cui al figlio, certo desiderato, chiediamo in realtà di colmare i nostri buchi neri, i nostri nodi irrisolti, le insoddisfazioni, le frustrazioni di una vita. Il figlio come “biglietto da visita”, come fiore all’occhiello, da esibire per dire al mondo quanto siamo bravi, brillanti, straordinari, unici. Genitori perfetti di un piccolo che può diventare un viziatissimo tiranno, ombra irritante del bambino e dell’adulto sano e realizzato che avrebbe potuto essere. Al lato opposto, c’è la motivazione “espressiva”, in cui il figlio è desiderato perché si ama profondamente la vita. Perché si sente che, nonostante tutto, è un’esperienza e un’opportunità straordinaria. Sono i bambini di cui parlavo, i bambini desiderati e sognati, attesi e poi amati. Ma non viziati. Un figlio è (o dovrebbe poter essere) allora solo il progetto di sé. «Nascere è facile – scrive un altro lettore – ma per trovare spazio nel mondo, per essere compiutamente se stessi, occorre trovare l’equilibrio tra quello che intimamente e nel profondo ci appartiene, e quello che ci circonda (genitori e famiglia allargata inclusi)». Anche a costo di deludere, perché il progetto di sé che il figlio cerca di realizzare può andare in direzioni del tutto opposte alle aspettative dei genitori.
«Per questo fare il genitore è così difficile – scrive un altro lettore (tutti padri!) – perché il tuo compito è quello di cercare di capire tuo figlio, pensando con la sua testa e non con la tua, immedesimandoti in lui, senza applicare schemi o cliché che avresti voluto fossero applicati a te. Da padre, cerco di mettere in pratica quello che Lei evidenzia. Si soffre – e molto – per la vulnerabilità che talvolta purtroppo si vede nei propri ragazzi, ma si è felici quando si comprende che il nucleo portante è saldo e desideroso di vita».
Fortunati i bambini che hanno padri sensibili e consapevoli. E grazie ai lettori che ci aiutano a riflettere su che cosa implichi essere padri attenti, oggi.

Autorealizzazione Bambini Genitori e figli Riflessioni di vita

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