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La forza (distruttiva) degli istinti

23/05/2011

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Che cosa spinge un uomo potente, colto, ricco, di grande fascino politico e mediatico, ai vertici della carriera e del credito personale, a giocarsi tutto per una questione di sesso violento con una donna di rango opposto al proprio, precipitando in un baratro di ignominia, di gogna mediatica planetaria, di collasso professionale, alla vigilia di una candidatura prestigiosa?
La vicenda di Dominique Strauss-Kahn (DSK) è paradigmatica di altre molteplici autodistruzioni maschili, con minore eco mediatica, ma identica matrice psicologica comportamentale. L’uomo in questione ha indubbie capacità intellettuali e professionali: è stato tra i migliori Ministri delle Finanze francesi del secondo dopoguerra, poi presidente prestigioso del Fondo Monetario Internazionale (FMI), di cui ha rianimato ruolo e visibilità. La prossima settimana sarebbe stato candidato ufficialmente dai socialisti per la corsa presidenziale in Francia. Con molte compagne, due mogli ufficiali (l’ultima, Anne Sinclair, è stata la più famosa anchor woman d’Oltralpe) e molte sussurrate amanti, più o meno note, è sempre stato un “tombeur de femmes”: ruolo che nell’iconografia francese, ma anche internazionale, è considerato il fiore all’occhiello del maschio alfa. La passione per le donne viene considerata come la prova ultima del maschio testosteronico, vitale, potente: stereotipo millenario, da Giove in poi, codificato in miti e leggende, e fortemente sedimentato nell’immaginario collettivo.
Il vero leader, vincente e capobranco, è dunque, per definizione, seduttore e promiscuo. Fin qui, «so what?» (e allora?), come scrive qualche italica signora che fa parte del fan club di DSK. Il nodo è proprio lì. Fan club di DSK e maschi consimili, dimenticano, o considerano marginale, il punto che è costato la testa (simbolicamente) a DSK. Va tutto bene, per lo meno nel diritto statunitense, purché venga rispettato un caveat sostanziale, che molti commentatori europei hanno perso di vista. La seduzione, per quanto molteplice, promiscua, allegra e disinibita, ha diritto di cittadinanza purché rispetti un criterio essenziale: il libero e pieno consenso della donna, indipendentemente dal rango del maschio che ne pretende il corpo. Su questo punto, gli statunitensi non sono affatto affetti da neopuritanesimo, ma perseguono con coerenza un principio ancora tragicamente disatteso in moltissime altre democrazie occidentali. Il valore assoluto della persona – indipendentemente dal colore della pelle, mansioni, reddito, estrazione sociale e sfortune della vita – e il suo diritto aduna piena disponibilità del proprio corpo (oltre che della propria mente e del proprio cuore). E quindi anche il pieno diritto a dire di no, a sottrarsi ad avances sgradite o francamente repulsive, che provengano da un uomo disperato oppure ai vertici del potere. Perché in quanto persona (donna o uomo, ragazza o bambino) ciascuno ha diritto a difendere quella frontiera territoriale che circonda ogni corpo umano: frontiera reale e simbolica, limitata dal diritto di dire sì o no con pari fermezza, indipendentemente dal profilo di potere dell’altro, e pari diritto di essere ascoltata e rispettata.
Quando crolla l’uomo di potere? Quando, con impennata narcisistica, pensa di essere comunque e sempre irresistibile, e che il solo fatto di proporsi comporti una resa rapida e acquiescente. Non solo nelle donne di pari rango, estrazione sociale e cultura, ma anche in tutte le altre. Anzi, con tanta maggiore eccitazione, forza e violenza, e tanta minore signorilità, quanto più l’altra è di rango inferiore. Con un secondo attacco narcisistico, relativo alla presunzione di impunità: «Tanto, nel mio ruolo e col mio potere, posso fare quello che voglio». Presunzione operativa nel nostro Paese, molto meno negli USA. L’uomo potente, narciso e seduttore, pensa, come gli antichi, che “vis grata puellae”, che la forza/violenza fisica sia gradita alle fanciulle (anche violentate o stuprate), in ciò mantenendo immutata una visione millenaria ben radicata ancora nel cervello di molti giudici italici quando devono giudicare su una violenza. Per fortuna, su questo fronte gli USA sono andati avanti: puritanesimo o no, difendono il diritto della donna a dire di no. Punto. E scelgono di punire in modo esemplare l’uomo che non rispetta il diritto al consenso, in modo ancora più rigoroso se è un uomo visibile. E che non vuole o non sa controllare le proprie pulsioni e i propri istinti. Ancor più se in qualche modo ha esibito in modo diretto o indiretto la sua presunzione di impunità. Con il rischio concreto, naturalmente, che la gogna mediatica sia più feroce della pena; che il rigore dimostrativo statunitense faccia del DSK di turno il parafulmine di frustrazioni e rabbie femminili centenarie; e che il momento dello scandalo (la vigilia della candidatura per le presidenziali francesi) non sia esente dal rischio, se non di un complotto, certo della strumentalizzazione politica di una possibile trappola in cui, comunque, DSK sembra essere caduto.
Cosa si può apprendere da tutto questo? Che è bene avere comportamenti irreprensibili, o almeno molto sobri, se si hanno vocazioni politiche (meglio non avere scheletri nell’armadio né donne abusate nel passato, e men che meno nel presente); che un errore può succedere, ma la sua ripetizione consapevole può essere devastante; che la presunzione di impunità con il crescere del potere politico, così diffusa anche nel nostro Paese, può generare un vortice d’opinione e mediatico che ci trascina a fondo, proprio quando si stava per arrivare alle stelle; che la potenza (anche sessuale) senza controllo e senza limiti, non è più tale: è incontinente temerarietà; e, non ultimo, che proprio l’episodio “marginale” può essere fatale. Il diavolo sta nei dettagli, anche di una vita.

Abuso, molestie, stalking, violenza sessuale e domestica Aggressività e violenza Narcisismo Riflessioni di vita Seduzione

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