EN

L'onda lunga della vendetta

14/02/2011

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

«Io, senza te, non vivo. Ma tu, senza me, morirai lentamente. Morirai ogni giorno, senza più pace». E’ questo il pensiero dominante che sembra aver ispirato la lucida strategia di vendetta di Matthias Schepp, ingegnere, separato e padre delle due gemelline di sei anni, Alessia e Livia, scomparse. Per ora, nel nulla. L’uomo si è suicidato il 3 febbraio a Cerignola, lanciandosi sotto un treno. Ha portato con sé il segreto delle sue bimbe, delle loro ultime ore, ma anche della loro angoscia e solitudine disperata, che noi non vogliamo sentire o immaginare, rassicurandoci con le foto luminose della loro felicità che accompagna ogni articolo sul loro infelice destino. Come si saranno sentite invece queste bimbe, trasportate di città in città da un padre sempre più fuori di sé, senza poter più chiamare la mamma, senza poter sentire il suo abbraccio, la sua presenza confortante? Sono state in preda a un’agonia emotiva atroce, passata sotto silenzio. I bambini respirano le emozioni, annusano l’adrenalina nell’aria, sentono la tensione nella voce, nel respiro, nelle vibrazioni del corpo. Per loro, stare con il padre impazzito e disperato negli ultimi giorni è stato un inferno senza conforto. Un inferno di varia intensità che molti altri bambini vivono quotidianamente quando le separazioni sono sanguinarie, quando i genitori si diffamano reciprocamente in loro presenza, quando vengono usati come strumento di vendetta o di ricatto. Qual è il primo monito che viene da questa storia atroce? Nelle separazioni, mettiamo al centro il bene dei figli, non il nostro bisogno di rivalsa, di ferire a fondo, privando il partner proprio della presenza dei figli amati. Ci sono uomini che possono essere mariti inadeguati, ma buoni padri. Che a volte, nelle relazione con i figli, esprimono il meglio di sé, ma che possono diventare distruttivi, fino alla morte, se anche questo rapporto essenziale – l’essere padri – viene impedito. Schepp, forse, poteva esserlo. L’uomo ha portato con sé il segreto delle bimbe, non le ragioni del suo gesto.
Ha scritto Schepp: «Senza l’affidamento congiunto non ce la faccio. Sono completamente pazzo, allo stremo, distrutto. Aiuto!». Perché nessuno si è reso conto che negare l’affidamento congiunto stava innescando una spirale di morte senza ritorno? «Invece di un dialogo ragionevole, ho ricevuto come risposta questi avvocati di m….». E, ancora: «Tutto ciò che volevo era una famiglia. Perdere te è stato già abbastanza duro. Ma perdere anche le bambine era troppo...». Al di là della dinamica della separazione di questo caso specifico, su cui sappiamo troppo poco, quale altro monito duro ci dà, questa tragedia? Ci dice: attenzione! Fin dove possibile – e dev’essere un possibile esplorato davvero, con tanto buon senso, tanto cuore e senso di responsabilità – parliamoci, prima di mandare avanti gli avvocati a lancia in resta. Parliamoci davvero. Cerchiamo la soluzione che nella separazione salvi il meglio di quello che abbiamo creato insieme: la serenità e il futuro positivo dei nostri figli. Una separazione costruttiva e non distruttiva. Questo dovrebbe essere l’obiettivo della coppia, ma anche degli avvocati, quando ci sono di mezzo i figli, prima di discutere la questione del denaro, che in troppe separazioni sembra essere l’unico elemento di attenzione e interesse.
Si fa presto a dire: «L’uomo era impazzito, era schizofrenico, solo un pazzo delirante può comportarsi così», allontanando da noi l’angoscia che queste situazioni estreme ci evocano. In realtà, in fase di separazione, dovremmo chiederci, inquieti: «Potrebbe succedere anche a noi?». E quando dovremmo allertarci?
Il più forte elemento di allarme, in una relazione, è il dire: «Senza te non vivo». Questa non è una dichiarazione d’amore, anche se questa frase ci gratifica profondamente, perché ci fa sentire preziosi e unici. E’ una dichiarazione di dipendenza, di incapacità di esistere e trovare un senso nella vita senza l’altro o altra che sia, senza la sua presenza, senza il suo amore. E oggi sono gli uomini, sembra, a soffrire di più per le separazioni, a negare alla donna il diritto di farlo (come altri recenti casi drammatici dimostrano), ad agire in modo violento, fino alla morte, al suicidio e, forse in questo caso, all’omicidio, la rabbia, la collera, la disperazione, l’incapacità assoluta di proiettarsi in un futuro senza coppia e senza famiglia.
Ratio et furor, mens et cupido, la ragione e la furia, la mente e il desiderio, di cui parla Ovidio, collidono ed esplodono in Medea (che uccide i figli per vendetta contro Giasone, che l’aveva abbandonata per Glauce). Ma possono esplodere anche nell’uomo che si sente abbandonato e che vede nella scomparsa e, si teme, nell’uccisione delle figlie il modo più atroce e irrimediabile di vendicarsi per sempre. Schepp tacita col suicidio il proprio tormento, cosa che Medea non fa. E condanna al tempo stesso l’ex moglie a un tormento e a un’assenza infinita. «Tu non mi volevi dare le bambine in affidamento congiunto. E io te le tolgo per sempre». In questa tragedia delle solitudini, provo una pena immensa per la signora Lucidi, rimasta sola in un baratro di dolore senza risposte e senza luce. Ma anche per Matthias Schepp, uomo solo, che la disperazione ha reso pazzo e, forse, omicida. E una tenerezza commossa, che purtroppo non le può più consolare, per quelle piccole bimbe, sole nella notte dell’anima del loro padre, vittime della follia, certo, ma anche dell’incapacità di separarsi senza usare i figli l’un contro l’altro, armati.

Aggressività e violenza Bambini Omicidio / Femminicidio / Infanticidio Rapporto di coppia Riflessioni di vita Separazione e divorzio Suicidio

Iscriviti alla newsletter

Rimani aggiornato su questo e altri temi di salute e benessere con la nostra newsletter quindicinale

Iscriviti alla newsletter