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In ricordo di Sarah

11/10/2010

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Che cosa si lascia nel cuore la morte di Sarah Scazzi? Tutti abbiamo vissuto l’angoscia di sua madre, volto pietrificato di un dolore antico, in queste settimane di lunga attesa. (Quasi) tutti temevano il peggio, che fosse stata violentata e uccisa. Il quesito era su chi l’avesse fatto. Il processo mediatico ha rischiato di crocifiggere un colpevole che tale non era (l’amico cuoco, ventisettenne). E non aveva visto l’orco (lo zio) in quella figura che era rimasta nell’ombra, finché da sé non aveva messo gli investigatori sulla pista giusta, fino alla piena confessione. Altre ombre pesanti rimangono: sui silenzi, sulle possibili connivenze, sulle complicità, sull’omertà.
Purtroppo la tragica fine di Sarah è paradigmatica di centinaia di altre storie simili, che non finiscono magari con un omicidio fisico, ma che possono uccidere comunque l’anima e il futuro delle bambine e dei bambini, degli adolescenti che vengono oltraggiati e violati dentro le famiglie. Possiamo ricordare Sarah per il suo volto con il sorriso ma gli occhi malinconici, per la tristezza e la solitudine che emergono dai suoi scritti.
Forse possiamo apprendere qualcosa di essenziale dalla sua morte atroce e dall’oltraggio subito anche dopo la morte. Qualcosa che lei ci ha detto con la sua storia amarissima. Un messaggio unico, cardinale: stiamo con le antenne del cuore all’erta, nei confronti di ogni bambino e adolescente con cui entriamo in contatto. E facciamolo fuori e dentro la famiglia, dove abitano gli orchi peggiori e di fatto più protetti. Se ci sembra solo, o in difficoltà, che si sia genitori, insegnanti, amici, parenti buoni, allenatori, apriamo gli occhi. Tendiamo una mano. Ma che sia limpida e data con cuore puro. Ricordiamoci di quanto può essere stato pesante anche per noi, se l’abbiamo provato, sentirci soli nell’infanzia e nell’adolescenza. E di quanto sono stati preziosi per noi, per salvarci da piccoli e grandi baratri, la zia con cui si aveva tanta confidenza, l’insegnante che ci aveva dato fiducia e incoraggiamento, l’allenatore che ci ha insegnato a canalizzare l’energia su obiettivi buoni, e a trasformare la rabbia e la collera in energia vincente, l’amica/o con cui ci si specchiava e tutto diventava più sopportabile. Tutte le volte in cui aiutiamo un piccolo in difficoltà, con cuore puro, aiutiamo non solo il suo futuro e la sua salute emotiva, ma anche la bellezza del mondo.
Per aiutarlo, dobbiamo liberarci dal rumore di fondo delle nostre vite, da questo stato di corsa permanente all’inseguimento di cose più o meno futili, e cominciare ad alleggerirci l’anima da tutto l’inquinamento che la intossica. Allora potremo sentire il dolore dei più deboli, intuire i segreti pesanti che li devastano e che non hanno il coraggio di svelare a voce. Attenzione: a voce. Il corpo di un bambino/a, di un adolescente, rivela moltissimo, se lo ascoltiamo con le antenne del cuore, se lo osserviamo con attenzione, soprattutto se non è “semplicemente” solo. Il suo corpo e il suo comportamento svelano se la sua solitudine lo ha reso più vulnerabile ad attenzioni e blandizie, a seduzioni morbose, se stanno accadendo eventi gravi nella sua vita. Diventa triste o collerico; ha pianti improvvisi, senza spiegazioni; ha il sonno disturbatissimo; mangia poco o si abboffa; può avere disturbi intestinali anche gravi (perché il cervello viscerale soffre in parallelo al cervello razionale); va male a scuola, non riesce più a concentrarsi. Sì, sono sintomi “aspecifici”, come si dice in medicina. Ma ci dicono con chiarezza che il piccolo, l’adolescente stanno soffrendo, che c’è un ingorgo emotivo, che forse sta succedendo qualcosa di più grave della “crisi adolescenziale”. E se ci sono questi segnali, non possiamo far finta di non vedere.
Da confessore laico, resto sempre turbata al vedere quanta omertà c’è nelle famiglie, quanta collusione, quante connivenze, quanti silenzi “per il buon nome della famiglia” e intanto viene immolato un innocente. Ripeto: anche se non c’è morte fisica, le conseguenze emotive, affettive, esistenziali e sessuali di una violenza subita, spesso ripetutamente, da parenti di vario grado, creano un dolore infinito. Questa morte sia un monito a un impegno morale non più rimandabile: che ognuno di noi si impegni a essere più presente in famiglia, in modo limpido e sano, per creare e nutrire quei legami d’amore che sono la prima difesa contro le insidie dei predatori. E che ognuno di noi si alleni a tenere aperti gli occhi, le orecchie, la sensibilità, la capacità di sentire il dolore dei più piccoli, in ogni luogo e contesto. Altrimenti il nostro silenzio, la nostra distrazione, la nostra cecità, ci renderanno complici di fatto, conniventi e collusi, pilatescamente pronti a piangere sulla morte di Sarah, e incapaci di vedere altri abusi che intanto continuano dentro e fuori le nostre case.

Abuso sessuale: approfondimenti disponibili sul sito della Fondazione Alessandra Graziottin

Abuso, molestie, stalking, violenza sessuale e domestica Adolescenti e giovani Omicidio / Femminicidio / Infanticidio Riflessioni di vita

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