EN

La crisi richiede intelligenza

13/09/2010

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Chi non ha, o non ha avuto, crisi serie? Il fronte specifico – personale, amoroso, amicale, familiare o professionale, e persino relativo alla salute – ha certo alcune peculiarità. Ma ci sono denominatori comuni importanti, che mi piace condividere da confessore laico, come ogni buon medico cerca di essere, ascoltando ogni giorno le confidenze su crisi nate sui più vari fronti.
La crisi, ogni crisi, richiede intelligenza, nel senso etimologico di “capacità di cogliere i nessi esistenti tra i vari momenti dell’esperienza”. In questo leggere dentro gli eventi, dentro l’esperienza negativa, dentro l’affetto che ci ha deluso o il progetto finito male, ma anche dentro la malattia che ci ha colpiti, o l’incidente che ci ha travolti, c’è l’essenza del coraggio e della forza del superarla. C’è la strada per ritrovarsi più forti dopo, se la lettura degli eventi, l’analisi della crisi, è fatta con obiettività e onestà. Assumendosi le proprie responsabilità, comprendendo i propri errori, ma anche analizzando dove, quando e in chi la fiducia è stata mal riposta. Solo l’analisi intelligente – sul fronte emotivo oltre che razionale – può aiutarci a uscire dalla voragine esistenziale che minacciava di travolgerci. Alleggeriti anche della negatività che non solo la crisi, ma le circostanze o le persone che l’hanno scatenata portavano con sé.
E’ una strada difficile, fatta di disperazione, di momenti in cui sembra di aver perduto tutto, di dolore che esplode la notte. Un dolore tormentoso, che impedisce di addormentarsi, o che ci risveglia a notte fonda, dopo il primo sonno piombato per la stanchezza e lo stress accumulato. Un dolore più acuto, che infierisce con inquietudini penetranti quando tutto è buio e tutto tace, e ci intossica con nuove paure e sottili veleni emotivi. Un dolore fatto di interrogativi amari, quando ci sembra che la crisi sia nata da cattiveria o malvagità altrui. Da cinismo o avidità. Da ambizioni senza regole e remore, o incuria crudele. Perché esistono uomini – e donne – davvero malvagi, come esistono i tumori maligni. Il male esiste, anche se tendiamo a negarlo: così facendo, non lo rendiamo più innocuo, ma più insidioso e lesivo.
La crisi richiede intelligenza. Innanzitutto, riconoscendone tutta la gravità o la potenziale – o reale – distruttività. Per far questo bisogna fermarsi, rallentare sugli altri fronti, professionali o affettivi (in questo senso, la malattia è maestra di gestione strategica di crisi), e ascoltarsi. Ascoltare il proprio corpo, e i suoi segnali; ascoltare le emozioni negative e cercare di scaricarle, innanzitutto con il movimento fisico, per evitare che restando dentro ci distruggano ancora di più; ascoltare i sogni e le loro metafore, che spesso ci indicano il senso profondo della crisi, e come uscirne. Simbolicamente, anche amputando un arto, se lì alberga il tumore maligno, la persona o la situazione che ci ha feriti a fondo, se questo ci aiuta a restare vivi.
L’intelligenza della crisi richiede silenzio: per riflettere, per capire, per intuire, anche per prepararsi a controreagire, se c’è stato un danno maligno. Un silenzio compattante, essenziale per riprendere forza e lucidità. Un silenzio necessario, per prendere le distanze da quanto è successo, per non farsene dominare, anche se allo scoppio della crisi si può avere la sensazione pervadente di essere entrati in un incubo, in un tunnel senza fine.
Sì, è vero, la fase acuta può lasciarci senza fiato, fisicamente e moralmente. Soprattutto quando la crisi nasce da crolli di fiducia – affettiva, filiale, professionale – perché in tal caso colpisce al cuore l’essenza dei rapporti interpersonali. Quando viene tradito e ucciso quel “di te mi posso fidare ciecamente” che è alla base di ogni sentimento d’amore, familiare, coniugale o amicale, e di ogni collaborazione cruciale.
Sì, la crisi è fatta di opportunità e rischio, come insegnano i cinesi che nell’ideogramma relativo intrecciano questi due significati. Il rischio più forte? La paura di fidarsi ancora, dopo; la chiusura ai sentimenti profondi; la tendenza a mettere il cuore e il futuro in freezer, perché questo mondo è una giungla, sempre più feroce. Sì, è vero, oggi la fiducia è un lusso per pochi. Per non diventare duri di cuore e cinici noi stessi, dopo la crisi, c’è una strada. Riconoscere con cura e attenzione emotiva “chi e che cosa, nell’inferno, non è inferno, e dargli spazio, e farlo durare” come suggerisce Italo Calvino ne “Le città invisibili”. Riconoscere quelle rare persone limpide, che ancora ci sono, per ritrovare il gusto di vivere e credere ancora, con entusiasmo e luminosità: nell’amicizia, nel lavoro, nell’amore.

Coraggio di vivere Crisi esistenziale Malattia Riflessioni di vita

Iscriviti alla newsletter

Rimani aggiornato su questo e altri temi di salute e benessere con la nostra newsletter quindicinale

Iscriviti alla newsletter