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Il coraggio di tornare a vivere con grinta

12/04/2010

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Che cos’hanno in comune Sharon Stone e Umberto Bossi? Un’emorragia cerebrale che poteva essere loro fatale, o lasciarli ombre di se stessi. E un coraggio e una voglia di vivere che li ha riportati in pista alla grande, ciascuno nella propria passione.
La prima è Sharon. A 43 anni, il 3 ottobre 2001, la splendida attrice viene ricoverata in clinica a San Francisco, per una cefalea violentissima, con dolore e rigidità nucale, vomito, fotofobia. Subito la diagnosi: emorragia subaracnoidea, per rottura di aneurisma cerebrale, con interessamento dell’arteria vertebrale, alla base del cranio. Un’emorragia fatale in circa il 50% dei casi, e che nei rimanenti può lasciare esiti permanenti: fisici, per il danno che il cervello ha subito; ma anche emotivi, per l’angoscia che l’evento possa ripetersi (spesso l’aneurisma è congenito e multiplo), per l’ansia, per la depressione reattiva, per l’incertezza che domina il proprio futuro di salute e di vita. Per la paura che emozioni intense possa creare variazioni pressorie tali da rompere un altro vaso cerebrale. Incertezza e paura aumentate da un diabete di tipo 1, di cui l’attrice soffre da tempo, e che, anche se ben controllato con l’insulina, aumenta la vulnerabilità del sistema vascolare a incidenti acuti e malattie croniche.
Di fronte alla rottura di un aneurisma cerebrale, ci sono due strade: la prima, ritirarsi a vivere in una sorta di campana di vetro simbolica, autoprotettiva ma anche di chiusura verso le emozioni della vita. L’altra, tornare a vivere, con più saggezza certo, ma accettando il rischio. Semmai, dando una svolta più etica al proprio esistere. Nel caso di Sharon, che aveva anche avuto due dolorosi aborti spontanei al quinto mese, di due figli desideratissimi, scegliendo la via dell’adozione, con tre bambini, e delle cause filantropiche, tagliando molta della vita sociale brillante (e vuota, a suo dire) precedente. E continuando a lavorare, con grinta e morbidezza allo stesso tempo. Chi direbbe che ci siano state queste prove – l’aneurisma è la peggiore, e la più minacciosa – dietro quello sguardo magnetico e quel sorriso inossidabile?
Più recentemente, l’11 marzo 2004, a 63 anni, è Umberto Bossi a soffrire di un grave ictus cerebrale, che lo costringerà a una lunga riabilitazione. Chi l’avrebbe detto, allora, che in soli sei anni avrebbe portato il suo partito alla storica vittoria di queste elezioni? Leader oggi più pacato, più riflessivo, meno cruento nei toni, più efficace.
La loro storia può dare coraggio a tutti coloro che sono colpiti da accidenti cerebrovascolari, da difetti congeniti, da aterosclerosi o crisi ipertensiva, da traumi cranici, e ai loro familiari. Ci dice che nonostante danni cerebrali anche estesi, esiste nel cervello una straordinaria capacità di recupero, anatomica (“neuroplasticità”) e funzionale (“psicoplasticità”). Una capacità che può essere potenziata certamente da cure eccellenti. Ma che può dare il meglio di sé solo se la persona colpita da questa minacciosa malattia – l’emorragia o l’infarto cerebrale – vuole tornare a vivere con pienezza. E se si sente sostenuta in questo percorso di recupero dai familiari, con fiducia, senza incertezze. Il percorso è lungo, infinito. Perché si tratta non solo di recuperare i danni subiti, ma evitare che l’accidente cerebrovascolare si ripeta (il che succede nel 25% dei casi entro cinque anni dal primo episodio). Più in generale, la luminosa Sharon e l’inossidabile Umberto, persone visibili e apprezzate, capaci di rinascere alla vita piena una seconda volta, sono il migliore augurio per tutti coloro che oggi sono in difficoltà per malattie gravi, anche cerebrovascolari, da cui è possibile riprendersi, se restano alti il coraggio e l’amore per la vita, e una grande passione in cui continuare ad esprimersi.

Coraggio di vivere Malattia Riflessioni di vita

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