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Come assistere un malato in ospedale

14/10/2009

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Mia sorella ha avuto un tumore alle ghiandole linfatiche, molto aggressivo nonostante le cure. E’ mancata due mesi fa, in un ospedale importante. Cure d’avanguardia – che purtroppo a lei non sono bastate – ma poca attenzione umana. Io ho cercato di starle vicina il più possibile, ma vivendo in un’altra città non sono riuscita a farlo quanto avrei voluto. Come si può star vicini a chi sta in ospedale nel modo migliore, per farlo sentire meno solo? Mi è rimasta un grosso rimpianto…”.
Marina G. (Pavia)
Gentile Marina, la capisco profondamente. So quanto sia difficile conciliare le nostre vite complesse, soprattutto se si abita lontani, con i bisogni di chi è molto malato, di chi sta in ospedale. Ed è purtroppo frequente il ritrovarsi poi con sensi di colpa e rimpianti, quando la morte ci chiude ogni ulteriore possibilità di dialogo, di presenza, di conforto. Credo che sua sorella abbia sentito comunque la sua presenza affettuosa e capito che i limiti erano obiettivi. Tuttavia la sua domanda è talmente importante per ognuno di noi che merita una risposta condivisa.

Di che cosa ha bisogno chi è malato in ospedale?

Innanzitutto, di una parola affettuosa che dica: “Sono qui con te. Ma ti penso e ti sono vicina anche quando non posso esserlo fisicamente”. E’ giusto dirle espressamente, queste parole, con tenerezza, con sincerità, guardandosi negli occhi: ci sono momenti così intensi, quando ci si parla con il cuore in mano, che riempiono di calore l’assenza, e danno conforto anche quando, fisicamente, non riusciamo ad esserci sempre. Una parola e una carezza, che facciano compagnia alla mente e al cuore. Che spezzino quel muro di vetro che sembra isolare ogni malato sotto una cappa invisibile e tuttavia impenetrabile, e lo isola in una accorata solitudine senza moti del cuore.
Quando siamo malati, ritorniamo un po’ bambini. Perché ci sentiamo improvvisamente dipendenti dalle cure degli altri. Perché ci scopriamo impotenti nel governare il corso degli eventi, condannati a una passività tanto più pesante quanto meno medici e infermieri ci coinvolgono nel progetto di cura e di guarigione. Puri “oggetti-corpo”, come se non avessimo più sentimenti, emozioni, paure, desideri. E invece, quando siamo malati, il bisogno più forte, quello che avvertiamo in modo più struggente, è il bisogno d’amore, fatto di presenze affettuose, di ascolto e di tenera sollecitudine. Soprattutto quando la malattia è grave, diventano cruciali i sentimenti e il tentativo di capire se la propria vita ha avuto un senso. Per questo i periodi di malattia sono importanti per rileggere la propria esistenza, ma anche la qualità delle proprie relazioni. Purtroppo, con qualche eccezione, i nostri ospedali non agevolano questo percorso di “ricomposizione” emotiva e affettiva della propria vita, men che meno negli anziani o nei malati gravi, il cui estraniamento estremo dagli affetti avviene nelle rianimazioni. Se portiamo un fiore o un piccolo dono, accompagniamolo allora con una lettera affettuosa che dica quei sentimenti che a volte si ha pudore di dire a voce. Che racconti di ricordi belli, condivisi. Che parli di momenti felici, che porti la mente a fermarsi su un giorno di luce e di sole. Una lettera che può essere riletta tante altre volte, dando conforto e facendo compagnia. Cerchiamo di sentire con le antenne del cuore che cosa ci farebbe piacere se fossimo noi, in quel letto, al posto della persona malata. Ci diventeranno spontanei quei piccoli gesti, quelle parole affettuose che riusciranno a confortare a lungo, anche quando siamo costretti con rimpianto ad andare via.

Prevenire e curare – Una carezza sulla pelle è una carezza per l'anima

- Sediamoci vicino al malato, tenendogli/le la mano con dolcezza. Questo contatto affettuoso è un potentissimo ansiolitico, perché dice: “Non avere paura. Ci sono, ti voglio bene”;
- ascoltiamo con attenzione e tenerezza: soprattutto le persone anziane hanno bisogno di raccontarsi, di rileggere la propria vita, per (ri)darle un senso vicino alle persone amate, e anche per sciogliere l’angoscia e stemperare la paura;
- se la persona è troppo stanca per parlare, si può conversare piano, raccontandole momenti belli condivisi, o progetti per il futuro, che le diano gioia;
- se in passato ci sono stati screzi o incomprensioni, un atteggiamento affettuoso farà capire che si può essere generosi, che il perdono c’è già stato, che l’amore vero è più forte di tutto.

Rapporto con il malato

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