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Depressione puerperale: che cosa può fare il partner per aiutare la neomamma

22/02/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Gentile Professoressa, io e mia moglie cinque mesi fa abbiamo avuto la nostra prima bambina, Martina. Il parto è stato difficile, è durato a lungo e i medici hanno dovuto praticare l’episiotomia per favorire l’uscita della piccola. Dopo qualche giorno, mia moglie ha iniziato ad avere paura che tutte quelle manovre possano aver leso il cervello della bambina. Ha il terrore che non sia normale, che resti minorata per sempre: e ne parla in un modo ossessivo, insistente. E’ come se la differenza tra la gravidanza perfetta, che aveva sempre sognato, e le difficoltà incontrate durante il parto avesse infranto in lei la magia della maternità. Il problema è che nei confronti della bambina è molto distaccata: non la coccola, non ne gioisce, la nutre in modo distratto, quasi irritato. I medici dicono che la cosa non mi deve allarmare e che, quando si convincerà che Martina è normale, “queste fisse le passeranno”. Io però non sono assolutamente tranquillo. Se ne sentono troppe, in giro, per restare tranquilli... A chi posso chiedere un aiuto concreto? E cosa posso fare io, per lei e per la nostra piccolina? Vorrei tanto essere un medico, e invece purtroppo di queste cose non ci capisco niente...”.
Mario B. (Bologna)
Gentile signor Mario, capisco e condivido la sua preoccupazione. La situazione di cui mi parla non è normale e può rivelarsi pericolosa. Parlare di “fisse” che prima o poi passeranno significa sottovalutare i sintomi che sua moglie manifesta e che mi inducono a pensare a una grave forma di depressione puerperale: l’ossessione esasperata e immotivata per la salute della piccola è infatti uno dei segni fondamentali di una distorsione di giudizio che alla lunga potrebbe sfociare in una vera e propria psicosi, un disturbo ancora più grave della depressione e che talvolta può portare alle situazioni tragiche a cui lei, con inquietudine, allude.

Quale differenza c'è fra una depressione, anche grave, e la psicosi?

Facciamo un passo indietro. I disturbi dell’umore in puerperio possono innanzitutto manifestarsi in forma lieve: in questo caso si parla di “maternal blues”, “baby blues”, o anche di “lacrime del latte”, come dicevano giustamente le nostre nonne, notando la sincronia fra le crisi di pianto e il momento dell’allattamento. Questo disturbo interessa moltissime neomamme (60-85%) e normalmente scompare pochi giorni dopo il parto.
La vera depressione puerperale riguarda il 10-15% delle mamme, con una punta del 36% fra le adolescenti. I sintomi durano da un minimo di due settimane a oltre 6 mesi, o addirittura un anno e più, se non vengono trattati in modo adeguato. Come vedremo, è legata soprattutto al crollo dei livelli estrogenici, elevati in gravidanza, subito dopo il parto.
La psicosi, infine, interessa infatti lo 0,1-1,2% delle donne che partoriscono, ma con un’incidenza da 12 a 14,5 volte superiore rispetto al periodo prenatale. I sintomi compaiono generalmente entro le prime 4 settimane dal parto, ma possono manifestarsi fino a 90 giorni dopo il parto, oppure tra i 18 e i 24 mesi.
Rispetto alla depressione, che per quanto forte rimane sempre un disturbo dell’umore, quindi limitato al piano pur importante della vita affettiva, la psicosi distorce completamente la percezione della realtà, minando anche le facoltà cognitive della persona. Il rischio di esiti tragici – fino al suicidio o all'infanticidio – risulta quindi molto più elevato.

Che cosa scatena questi disturbi?

Alla situazione possono concorrere numerosi fattori:
1) biologici: la predisposizione genetica (che in particolare può influenzare i livelli di serotonina), la caduta degli estrogeni (che si riducono del 90-95% nel giro delle prime 48 ore dopo il parto) e – in modo meno chiaro – le fluttuazioni di altri ormoni come il progesterone, il cortisolo, la prolattina e gli ormoni tiroidei;
2) psicologici: giovane età della neomamma, immaturità psichica, la condizione di ragazza madre, una gravidanza e/o un parto difficili, la solitudine, disturbi di personalità, abuso di sostanze psicoattive;
3) relazionali: una relazione di coppia conflittuale, eventualmente con abusi pregressi e/o un’insufficiente intimità emotiva; la negligenza del personale sanitario; la mancanza di conforto e supporto da parte del partner, della famiglia, degli amici.
Nel caso di sua moglie, quindi, il trauma del parto potrebbe essersi sommato a bassi livelli di serotonina e alla caduta degli estrogeni. In ogni caso, ha ragione a non accettare un miope “passerà”. Sua moglie sta male, e deve essere aiutata in modo concreto e con urgenza. Innanzitutto, con una diagnosi appropriata: lo psichiatra dovrebbe valutare se si tratti di depressione o di una ben più pericolosa psicosi, comprenderne i fattori predisponenti e precipitanti, e poi agire di conseguenza a livello terapeutico.

Qual è la terapia?

Un trattamento combinato, con antidepressivi ed estrogeni, sembra dare i risultati migliori sui fattori biologici della depressione. Gli antidepressivi triciclici e soprattutto i modulatori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI, meno pesanti a livello di effetti collaterali) sono i farmaci oggi più indicati. Quando emergono anche fattori psicosessuali o relazionali è indicata una psicoterapia, soprattutto per le neomamme adolescenti. A livello relazionale, infine, è necessario – come lei stesso ben intuisce – aiutare la donna nella cura del bambino, coinvolgendo il partner, i familiari ed eventualmente anche l’assistenza sociale.
I casi di psicosi vanno invece seguiti in ambiente protetto e con personale specializzato. E dopo la dismissione va dedicata una grande attenzione alle cure domiciliari, perché il rischio di recidive è molto alto sino e oltre i due anni dal parto.
Una presenza affettiva rassicurante, come quella che lei desidera offrire a sua moglie, è in ogni caso un potente fattore di guarigione, perché aiuta a vincere il senso di solitudine, potenzia i benefici dei farmaci e riduce il rischio di ricadute.

Siamo sicuri che gli psicofarmaci non siano pericolosi?

Se la terapia è prescritta da un medico competente ed è “su misura” rispetto alle necessità della donna, non c’è nulla temere, soprattutto con i prodotti recenti di cui le parlavo. La demonizzazione dell’aiuto farmacologico, fra l’altro, non considera che gli effetti collaterali – sulla madre e sul bambino – di una depressione prolungata, o di una psicosi non trattata, sono infinitamente più gravi e persistenti di quelli di un farmaco usato bene.
Una mamma depressa e “distaccata”, come lei osserva, priva il piccolo di quel nutrimento d’amore, fatto di sguardi, sorrisi, carezze, coccole, abbracci, che è essenziale per lo sviluppo non solo emotivo ma anche intellettuale. Il ritardo cognitivo nei bambini di madri depresse, e la loro inadeguata “intelligenza emotiva”, è la prova di quanto sia grave, per lo sviluppo infantile, che la depressione materna non venga trattata.
Inoltre, come ho più volte sottolineato anche in questo sito, una madre depressa è meno attenta ai rischi di piccoli o grandi incidenti che il neonato corre nella vita quotidiana: un recente studio americano ha dimostrato che nei primi tre anni di vita i figli di madri depresse hanno un aumento del 44% di visite al pronto soccorso pediatrico per incidenti domestici e – per una sorta di tragico “compenso” – una riduzione del 20% dei normali controlli di routine, che invece non dovrebbero mai mancare!

Io che cosa posso fare?

Prima di tutto cerchi uno psichiatra e un ginecologo preparati che, possibilmente in collaborazione, aiutino sua moglie a riprendere il filo della propria vita. Poi le stia vicino più che può, la coccoli, le parli, sia positivo con lei senza mai colpevolizzarla. Lei non è un medico, è vero, ma non sottovaluti l’importanza di quello che può fare: la forza dell’amore è incalcolabile, in queste situazioni. Sua moglie, al di là delle cure pur fondamentali, ha bisogno di affetto, comprensione, pazienza e tanta attenzione. L’aiuti in casa, in modo che lei possa riposare il più possibile; se è capace, le prepari da mangiare, scegliendo le cose che le piacciono di più; la incoraggi a uscire di casa, magari accompagnandola al cinema o a passeggio; le faccia compagnia, parlando delle tante cose che vi legano e che possono suscitare in lei piacevoli ricordi, e una rinnovata speranza nel futuro.
Anche la bambina ha bisogno di lei: le parli, la coccoli, ci giochi. Se amata e stimolata con tenerezza, potrà recuperare la mancanza delle coccole che in questo momento la sua mamma non può proprio darle. E se sua suocera abita vicino, provi a coinvolgerla, almeno per qualche ora al giorno: l’aiuto di un’altra figura femminile significativa della famiglia è infatti essenziale per aiutare sua moglie a continuare il processo di guarigione in armonia con la crescita della bambina.
In sintesi: cerchi tutto l’aiuto che può e, soprattutto, sia lei stesso molto presente. La vostra è più che mai una situazione in cui il “fare” è importante, mal l’“esserci” lo è ancora di più. Glielo dico con l’esperienza di anni di professione: la sua presenza è insostituibile e può cambiare davvero il destino di sua moglie e di Martina.

Depressione post parto Rapporto di coppia

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