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I tanti volti del successo

25/06/2007

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Voglio aver successo”. Questo è l’obiettivo di un numero crescente di giovani e meno giovani, figli di una società che fa di questo parametro il paradigma del valore di una persona. Successo inteso come visibilità mediatica. E poco importa se questo obiettivo è ottenuto grazie a qualità oppure a delitti (come purtroppo insegna la fama di giovani assassini di genitori), a talenti ben coltivati o a effimere mode, a singolari casualità o all’uso strumentale del proprio corpo che porta ad ottenere il contratto da velina o da comparsa. Fino a dieci anni fa, in testa alle aspettative c’erano altri obiettivi: avere un lavoro, possibilmente di soddisfazione e ben remunerato, avere una famiglia e dei figli, una bella casa, una buona salute e una piacevole serenità per godersi il tutto. Si può argomentare che questi sono gli ingredienti di ogni vita piena di soddisfazioni, che si basa su solide premesse, su capacità a lungo coltivate e un’attenta gestione anche delle proprie risorse, affettive, intellettuali ed economiche. Successo quindi sul medio-lungo termine, come appagante raccolto di una intelligente e accorta semina in gioventù e nella prima giovinezza sul fronte sia affettivo, sia professionale. Proprio perché costruito con gradualità su solide capacità, poco vulnerabile quindi ai rovesci di fortuna, ai crolli improvvisi, ai fallimenti immotivati.
Diversamente dalle aspettative precedenti, il successo mediatico presenta una vulnerabilità enorme. Tanto maggiore quanto più è raggiunto rapidamente e per ragioni che non si fondano su competenze reali o su talenti particolari ben allenati negli anni fino a costruire una solida eccellenza. Tipico esempio sono i destini dei protagonisti dei vari reality, con qualche rara eccezione ripiombati nell’anonimato. E che tuttavia sono stati per molti il paradigma del rapido successo visibile (ossia la riconoscibilità sociale) basato sul colpo di fortuna.
Le caratteristiche del successo mediatico (quando ottenuto con poco o senza merito) portano con sé non solo il rischio di un’effimera durata, ma di una ben peggiore vulnerabilità: una dipendenza da sostanze che simulino a livello cerebrale la soddisfazione emotiva perduta. Un passo indietro per capire che cosa l’esperienza del successo determini sul nostro cervello può aiutarci a capire perché questo successo porti con sé una maggiore vulnerabilità alla fuga nelle dipendenze. L’avere successo, il sentirsi applauditi, cercati, apprezzati, corteggiati, voluti, crea una stato di euforia mentale cui corrisponde un netto aumento dei neurotrasmettitori che modulano lo stato di benessere mentale, di eccitazione, di felicità. E questo a sua volta può indurre un senso di onnipotenza, in cui tutto sembra appunto possibile, a portata di mano, realizzabile, tanto “basta volere”, ma senza impegno, senza disciplina, senza fatica, senza sacrificio, solo per un magico gioco di fortuna, di cui è massimo esempio l’esser nel posto giusto al momento giusto. Ancora più ingannevole se la visibilità si associa ad un rapido aumento dei guadagni. Quando per lo stesso capriccio di fortuna quel successo arrivato così facilmente altrettanto facilmente si appanna, ecco che il nero fantasma dell’invisibilità riappare nella vita. Portando con sé i suoi accoliti: il senso di fallimento, la depressione, l’insicurezza, la frustrazione, l’impossibilità, la sensazione di non valere più nulla. Siccome il successo non era sostenuto da capacità reali, invertire la rotta può essere davvero difficile, se non impossibile. Ed ecco l’urgenza di riavere quelle sensazioni di eccitazione, di esaltazione, di trionfo: in agguato, ecco la cocaina, che può illusoriamente riportare a quelle emozioni di stato di grazia. Droga peraltro da cui non sono immuni, seppure con molto minore vulnerabilità, nemmeno le persone arrivate al successo come alcuni campioni, sportivi, con fatica e indubbi sacrifici, ma che non reggono il fatto di invecchiare, o perdere o non essere più i protagonisti, o non vincere più come prima.
Esiste una “dipendenza” dal successo? Sì: nel senso che è difficile riaccettare una vita normale quando si è vissuto per mesi o anni sopra le righe, e con grandi gratificazioni su tutti i fronti. E’ una dipendenza fisica, neurobiologica, nel senso che i meccanismi di ricompensa, che tendono a farci ripetere i comportamenti che ci gratificano, in qualche modo consolidano i circuiti che ci portano ad un certo comportamento, come i binari veicolano la direzione del treno. Ed è una dipendenza psicologica, perché è umano essere il più felici possibile, e tendere a rimpiangere i periodi o le situazioni della vita che sono stati per noi l’età dell’oro. Purtroppo i media in generale esaltano i protagonisti di un giorno, i successi miracolosi ed effimeri, la persona qualsiasi arrivata alle luci della visibilità per pura bellezza o ribalderia, senza tanti altri talenti. E non ci dicono che cosa succede a quelle stesse persone anche pochi mesi o anni dopo. Trasmettendo così il messaggio che tutto quel che conta sia raggiungere il successo (la visibilità) perché tanto poi questa si alimenta da sola. Non è così. Quei pochissimi che restano sull’onda dopo una partenza velocissima e più o meno casuale, hanno, a parte solide raccomandazioni, qualche capacità personale che rapidamente affinano e che li porta comunque ad acquisire una strategia efficace e vincente. Per tutti gli altri la regola è il ritorno nell’ombra, a vite spesso scottate da questo brillìo effimero che rende più difficile poi accettare una vita normale.
Il punto è uno solo: ridare ai giovani un senso più vero, reale e sano di che cosa significhi successo, al di là della visibilità. Di quanto sia importante l’impegno personale per ottenere risultati nella vita, soprattutto se non si è già “nati arrivati”, perché “figli di”. E di quanto sia intrinsecamente duraturo il successo fatto di sostanza, di cui la visibilità può essere un corollario forse piacevole ma certo non necessario. E quanto sia di infinitamente maggiore soddisfazione il successo ottenuto con le proprie forze, il proprio lavoro, il proprio impegno, la propria passione per l’eccellenza. Oltretutto, questo tipo di progressione graduale verso la piena realizzazione di sé è anche meno vulnerabile all’“effetto dipendenza” perché solido, senza grandi fluttuazioni di stato né di tensione emotiva. Nella sostanza, invece di alimentare o incoraggiare falsi miti e obiettivi superficiali nei nostri figli, torniamo a trasmettere loro una sana etica del lavoro. Il successo che ne deriva è molto più solido e capace di irradiare con molta più efficacia e stabilità anche nel mondo degli affetti e della soddisfazione personale globale. Questa premia le persone che hanno avuto il coraggio di determinarsi con costanza, costruendo il proprio successo senza aspettare – nulla facendo – il colpo di fortuna.

Autorealizzazione Dipendenze, droghe e doping Internet, videogiochi e televisione Riflessioni di vita

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