Scegliamo come abitare l’ultimo giorno, come morire. Stiamo vicini alle persone che amiamo, se già l’hanno scelto prima di noi. Pensiamoci tutti, con calma. Prima. Ora. Parliamone con i familiari, con gli amici, perché la scelta sia chiara, senza incertezze né inutili sensi di colpa, quando verrà il momento, anche se sembra lontano. Sembra, ma potrebbe essere domani. E’ una riflessione preziosa per tutti.
La signora Luciana Biffi, 59 anni, malata di sclerosi laterale amiotrofica (SLA), tetraplegica, ha scritto con il comunicatore oculare una bellissima lettera che “Il Corriere della Sera” ha pubblicato qualche giorno fa. Conclude così: «Quando avrò un sintomo che mi condurrà alla fine della vita voglio essere addormentata, voglio morire dormendo, voglio serenità per me e i miei cari che saranno con me in quel momento». Il signor Dino Bettamin, anch’egli ammalato di SLA, dopo aver convissuto per anni con questa tremenda malattia, con coraggio, con forza e tanta dignità, ha scelto la sedazione palliativa profonda continua. «Mio marito era lucido, ha optato per una scelta in linea con la legge, la bioetica e la sua grande fede, ha fatto la sua scelta», ha detto la moglie che lo ha assistito con amore e dedizione fino all’ultimo. Una scelta condivisa, meditata e serena.
Per la sedazione palliativa profonda continua, ottenuta con un farmaco specifico, è necessario il medico anestesista. Occorre che la volontà del morente sia chiaramente esplicitata. Occorre essere pronti. Tanti anni fa una mia giovane paziente aveva un tumore mammario con metastasi dolorosissime che crescevano nelle ossa e perfino sotto pelle. Da poco laureata, ero di guardia in oncologia ginecologica. Le facevo morfina ogni due ore, anche meno. Le infermiere erano premurose, ma preferivo fargliela io, per starle vicina, per alleviare il suo dolore con il farmaco, con la mia presenza, con una carezza. In quelle notti insonni, la sua coscienza affiorava sempre meno tra un fiala e l’altra, e solo quando il dolore la tormentava di più. L’ultima volta di guardia con lei, mi ha guardato e mi ha detto: «Dottoressa, lei che mi vuole bene, mi lasci morire». Non ne ho avuto il coraggio, mi sembrava che l’importante fosse starle vicina con tutto il cuore e farle più analgesia possibile. E’ morta la notte in cui non c’ero. Ancora ci penso, con un nodo in gola. Ma allora ero giovane, non potevo. Ora che conosco bene il dolore, forse sì.
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