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Vivere il tempo a passo variato (senza paura e angoscia)

24/04/2006

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Qual è, di tutto il mondo, la cosa più lunga e più breve, più svelta e più lenta, la più divisibile e la più estesa, la più trascurata e la più rimpianta, senza la quale niente può essere fatto, che divora ciò che è piccolo e vivifica ciò che è grande?”.
Questo (si) chiese il filosofo Voltaire, in un racconto intitolato con il nome del protagonista, Zadig (Einaudi, Torino, 1974). E fa dire a Zadig: “E’ il tempo. Niente è più lungo, perché è la misura dell’eternità; niente è più breve, perché manca per tutti i progetti. Niente è più lento per chi aspetta, niente è più rapido per chi è felice. Si stende, in piccolo, fino all’infinito. Tutti lo trascurano, tutti ne rimpiangono la perdita. Senza di lui nulla viene fatto. Fa dimenticare ciò che non merita la posterità, e rende immortali le cose grandi”.
Noi esistiamo solo nel tempo: forse per questo in molte culture questa variabile così critica dell’essere è stata considerata una divinità, all’origine del mondo. Come Cronos, padre di Zeus, per i Greci. Ognuno di noi si rapporta al tempo a suo modo: ha cioè un suo schema temporale particolare. E riflettere su questa personalissima misura ci rivela verità profonde su noi stessi e sul nostro essere (o non essere) nel mondo. Nel modo in cui ciascuno di noi vive il tempo si riflettono le paure e le angosce, le insicurezze e le immaturità che ci abitano. Ma anche il nostro bisogno di senso, il desiderio di vivere con pienezza appassionata, negli affetti e nell’amore, come nel lavoro, la spinta a esprimere talenti grandi che ci sono stati dati in dono dalla vita o dal destino, anche contro mille difficoltà. Osservando noi stessi e gli altri possiamo cogliere e definire diverse identità temporali. Non tanto per un piacere catalogativo o nosografico, quanto perché nei diversi modi di rapportarsi al tempo c’è anche una grande chiave di lettura della compiutezza o incompiutezza della persona, della sua capacità di essere profondamente se stessa, o gravemente irrisolta, in uno o più aspetti dell’esistenza. Anche in amore, il modo con cui l’altro si rapporta al tempo può svelarci aspetti della persona che possono poi rivelarsi costruttivi, o distruttivi, per l’intera relazione. Purtroppo questo è un aspetto essenziale su cui si riflette poco, e sul quale si infrangono anche coppie all’inizio innamoratissime. Perché l’incompatibilità nel modo di vivere il tempo può uccidere anche l’amore più grande. D’altra parte, la difficoltà a “vivere il tempo” è un dato dell’esperienza quotidiana. Il tempo è il nemico con cui si lotta, o il fantasma che si rincorre in un inseguimento destinato al fallimento. Il tempo ci sfugge, perdiamo tempo, arriviamo in ritardo, non abbiamo tempo, è più tardi di quanto non pensassimo, il tempo è tiranno, è troppo tardi. E’ troppo tardi, soprattutto, quando ci accorgiamo dell’irreparabilità di gesti o comportamenti, o quando un incidente o una malattia grave o definitiva ci chiudono rapidamente gli orizzonti di vita, e il tempo eterno che credevamo di avere ancora davanti diventa breve come un sussurro. Oppure, e in modo rivoluzionario e misterioso, la malattia grave ci dà la scossa per ripensare il tempo, per prepararci a viverlo davvero da protagonisti, anche su percorsi inediti, dandoci finalmente la spinta o il coraggio di essere noi stessi. Capaci con un colpo di reni di uscire dal conformismo dilagante di cui l’omologazione nel modo frettoloso di vivere il tempo d’oggi è un paradigma essenziale. Si può riscoprire il tempo, dunque, senza più subirlo in una routine di cui spesso abbiamo perso il senso.
“Cosa hai fatto oggi che davvero meritasse il tuo tempo?”. “Niente... eppure ho corso tutto il giorno senza fermarmi un minuto!”. Quando rispondiamo così a questa domanda elementare, è giusto e saggio fermarsi e riconsiderare davvero cosa valga per noi. Cosa sia essenziale, nella nostra giornata, nel modo di abitare il tempo. Senza lasciarlo passare su di noi, inerti, rapido e indifferente, come acqua che scorre sui sassi. Senza rassegnarci alla fretta ossessiva, compulsiva e divorante che caratterizza un tempo di scarsa qualità, in una superficialità di relazioni e di modi di essere che ci lascia frustrati e insoddisfatti.
Ci sono modi diversi per ritrovare un tempo di qualità in cui (ri)conoscerci. Per esempio, si può riscoprire il tempo come misura interiore, sia nella ricerca spirituale sia nella ricerca del nostro senso nel mondo: percorso di cui oggi si fanno alfieri persone di grande caratura spirituale, come Luciano Manicardi, del Monastero di Bose, con i suoi Testi di Meditazione (Ed. Qiqajon, dal nome della pianta che confortò e ristorò Giona). Oppure dedicandoci a sviluppare un sogno o un progetto amato, chiuso in un cassetto per ragioni diverse. O trovando il coraggio di chiudere relazioni finite, per ricominciare da soli, in un altro tempo interiore. O, ancora, prendendoci comunque della pause di vera solitudine, in silenzio, in ritiro dal mondo, per rimettere a fuoco ciò che valga davvero nella nostra vita. Più semplicemente, l’esercizio quotidiano di “variare la velocità del tempo” facendo meno cose ma con partecipazione più profonda, può aiutarci a ritrovare anche il piacere della lentezza. Emozione che non ha nulla dell’inquieta inerzia degli irrisolti o degli accidiosi, ma che contiene il piacere di assaporare, per poter ricordare meglio e più a lungo. Anche chi siamo, chi siamo stati, quali siano state le relazioni davvero appaganti per noi. Altrimenti, come sostiene Manicardi, scopriremo con dolore che dietro il trionfo della velocità, dell’accelerazione del tempo, c’è l’eclissi della memoria. Non solo della memoria storica, come del resto stiamo vedendo nel desolante declino delle frettolose civiltà occidentali, ma anche della memoria individuale. Con il rischio concreto che guardando indietro non ci resti, di tanti giorni accelerati, che un ricordo vago e senza nome. Ed è bello invece (ri)scoprire come la vita riprenda luce e colore e musica se impariamo a rallentare, a osservare, ad ascoltare, con gli occhi della mente e del cuore, pur mantenendo l’intensità etica dell’esistere. Se ci alleniamo a scegliere quando accelerare, e quando e perché rallentare. Poche cose ci sono essenziali: solo chi sa negoziare con se stesso un tempo di cui sia davvero protagonista, anche nella scelta del passo variato con cui esistere, è oggi davvero libero. Di certo è più profondamente pacificato. E a tratti silenziosamente felice.

Autorealizzazione Riflessioni di vita Tempo

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