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Vite spezzate dalla crisi: una lettera d'addio

14/05/2012

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Ormai è un bollettino di guerra. Ogni giorno ascolto le preoccupazioni e le inquietudini di donne licenziate, o a cui non stato rinnovato un contratto; la crisi pervadente di uomini in cassa integrazione, depressi o francamente disperati, di artigiani o piccoli imprenditori in grossa difficoltà economica. La sofferenza è profonda. «Si metta nei nostri panni, e le dica, queste cose. Chi scrive, ha più responsabilità nel dire la verità…». La sofferenza è estrema in chi decide di lasciare la vita. Ogni giorno, più di uno. A questi uomini, ai loro sentimenti, alla loro ultima solitudine, voglio dar voce, ora.
«Cara Elena, cari Dario e Francesco, vi scrivo perché non voglio che restino ombre sulla mia morte. Né su di me, né su di voi. Sono apparentemente morto suicida. In realtà sono un morto ammazzato. Mi hanno ammazzato in tanti. Questo lo dovete sapere. A voi ho voluto tanto bene. So che me ne avete voluto. Quando uno muore ammazzato non c’è colpa, né in lui, né nella sua famiglia. Solo rassegnazione. Ma io non voglio rassegnarmi a morire in silenzio. Voi dovete sapere. Tutti devono sapere. Il lavoro è andato male, non ho più avuto credito. Ho lavorato giorno e notte, negli ultimi due anni ancora di più, per cercare di tenere in piedi la mia azienda, che era piccola ma era mia, fatta con le mie mani. Ci ho messo tutta la mia energia e il mio coraggio. Dio e voi mi siete testimoni. Ma quando i clienti non pagano e le banche non ti danno più fiato, non c’è più futuro. Io so chi mi ha ammazzato e voglio che lo sappiate anche voi. L’Italia è un paese crudele con gli onesti. Se siamo sull’orlo del baratro, e per primi ci cadono gli onesti come me, è colpa dei furbi, in ogni lavoro. Dei furbi che fanno i politici. Di quelli che in ogni partito hanno rubato milioni e vissuto alla grande, a sbafo, senza merito né fatica, succhiando il sangue di quelli che lavorano. Degli esperti che si fanno pagare milioni per consulenze sul niente, e noi a lavorare come schiavi per far quadrare i bilanci. Dei furbi che parlano sempre di etica, per derubarti meglio. Perché la Finanza non va per prima cosa a vedere se il livello di vita dei politici d’ogni livello è congruo o no con quello che dichiarano? Perché solo a loro le case arrivano gratis, o con affitti da ridere, e gli onesti non ce la fanno ad arrivare a fine mese col mutuo da pagare? Perché si continua a tosare le stesse pecore, già strapelate, e i furbi continuano a ingrassarsi e sollazzarsi a spese degli onesti? Perché continuano ad aumentare le tasse, e a picchiare gli onesti, invece di obbligare i ladri – e tanti li conosciamo per nome e cognome – a restituire tutto quello che hanno rubato? Si può ammazzare in tanti modi. Anche togliendo la fiducia e la speranza, e uccidendo il coraggio. Potevo diventare un furbo, un ladro, anch’io. Qualcuno me l’ha suggerito: “Tanto fanno tutti così”. Io non credo. Ma è vero che troppi onesti ci stanno rimettendo la salute e la vita. “La dignità vale più della vita di un uomo”, ha scritto un vecchio che si è impiccato, dopo aver lavorato tutta una vita, perché non ce la faceva a pagare le tasse. Anche lui è un morto ammazzato, come me. E anch’io penso, come lui, che la dignità vale più della vita. Tu, Elena, pensa che ti ho voluto tanto bene. Portami ancora nei tuoi pensieri e, se puoi, nel tuo cuore. E voi, Dario e Francesco, studiate, impegnatevi, fate i bravi. Aiutate la mamma. Istruitevi, perché avrete bisogno di tutta la vostra intelligenza, e di tutto il vostro cuore, per restare onesti in un paese crudele e corrotto come questo. Io spero che da morto le mie parole siano ascoltate più che da vivo. E che qualcuno si metta la mano sulla coscienza. Che gli onesti facciano più quadrato contro i furbi, contro i ladri, contro i corrotti, contro quei politici che ci hanno messo in ginocchio. Dario e Francesco, vi sarò sempre vicino. Vi voglio bene, tanto, tanto. Non ce l’ho fatta a resistere ai colpi, ma credo ancora che questo Paese, anche con voi, sempre onesti, possa essere migliore. Il vostro papà e marito. Paolo».

Crisi economica Suicidio

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