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Taglio cesareo di elezione: come scegliere

10/11/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Vorrei il taglio cesareo”. Questo pensano molte donne, spesso ancora prima della gravidanza, e ancor più quando si trovano ad aspettare il loro bambino. Un numero crescente, che contribuisce all’aumento progressivo di tagli cesarei nel nostro Paese, e all’aumento parallelo di costi sanitari. Attualmente, la media nazionale è del 36,9% sul totale dei parti, contro il 15% raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Un aumento che rispecchia peraltro la tendenza internazionale. Con notevolissime differenze, non solo nazionali, ma anche regionali. Per esempio, in Italia il record di tagli cesarei spetta alla Campania, con un preoccupante 61,4% nel 2007, secondo l’ISTAT, con un aumento del 528,2% (!) in 20 anni, specialmente nelle case di cura private, aumento che non ha eguali in medicina. Tutto il Sud, peraltro si attesta intorno a valori medi del 50%. C’è almeno un vantaggio in termini di salute del bambino? No, purtroppo no: la Campania anzi ha un tasso di mortalità neonatale superiore alla media nazionale: del 19,8 per mille rispetto al 17,37 per mille (ISTAT, 2007).
Perché queste differenze? Quali sono i veri motivi per cui, soprattutto al Sud, è diventato quasi impossibile partorire in modo naturale? Più in generale, il taglio cesareo è una scelta giusta? E’ davvero più sicuro rispetto al parto per via vaginale? E, all’opposto, il forzare adesso, nelle regioni del Nord Italia, la riduzione dei cesarei, “obbligando” al parto vaginale anche donne che dovrebbero senz’altro avere il cesareo, con gravi conseguenze sulla donna stessa e/o sul bambino, non è un errore altrettanto grave da evitare? Come scegliere allora il meglio per la donna e per il piccolo?
Se ne è parlato in questi giorni a Roma, nel corso del congresso nazionale della Federazione Italiana di Ostetricia e Ginecologia (FIOG), cui ho partecipato con un intervento proprio su questo tema. Sono emerse riflessioni che merita condividere, per le donne e le coppie che stanno aspettando un bimbo, oltre per le loro famiglie, per le nostre direzioni sanitarie e per tutti noi, perché i costi di salute e di vita, oltre che sanitari, pesano poi su tutti.
Innanzitutto: perché si fa un taglio cesareo? Sostanzialmente: a) per urgenza durante il travaglio, quando compare una sofferenza fetale acuta e/o un problema materno (per esempio una crisi ipertensiva grave, o un distacco di placenta), che rendono necessaria l’estrazione urgentissima del bambino; b) per scelta, della donna o del medico: si parla allora di taglio cesareo “di elezione”, che per definizione avviene in assenza di indicazioni mediche e/o ostetriche.
Quanti dei tagli cesarei di elezione sono davvero su richiesta della donna? Ecco il primo problema: non siamo in grado di dirlo (all’estero si parla del 6-8%). Perché? La modalità di registrazione attuale non lo prevede. Bisognerà allora modificare (rapidamente, si spera) il Modello Nazionale di Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP), che attualmente ha una classificazione binaria: intervento di elezione, oppure in travaglio. Per capire bene quali siano le indicazioni dovremmo modificare il CeDAP, specificando se il taglio cesareo di elezione è su indicazione materna (per scelta quindi della donna) o del medico. Inoltre bisognerebbe anche includere il taglio cesareo di urgenza fuori travaglio, anche per le notevolissime implicazioni medico-legali che ha. Peccato che finora nessuno ci abbia pensato.
Perché la donna vuole sempre più il cesareo? Per due gruppi di ragioni: a) per paura del “trauma” del parto, di manovre violente di cui ha sentito parlare, del “taglio” (episiotomia) che viene fatto per favorire l’uscita del bambino, del forcipe o della ventosa, di avere danni permanenti dei muscoli del pavimento pelvico, con successiva incontinenza o prolasso, e non ultimo, per la paura di danni irreversibili al bambino in caso di sofferenza fetale grave. Paure che nascono dall’aver già fatto o sentito esperienze negative di parto vaginale o dall’avere complicanze della gravidanza in corso; b) per desiderio di autoprotezione di sé e del bambino, usufruendo di una modalità di parto “programmata”, percepita come moderna, sicura, e garantita. Il che non è: le donne hanno scarsa conoscenza dei rischi legati al cesareo, spesso visto come “garanzia” di salute e di esito felice per sé e per il piccolo, senza considerare che, come ogni atto chirurgico, ha rischi operatori e anestesiologici, oltre che rischi specifici per future gravidanze. Basti dire che il cesareo aumenta dell’1-4% il rischio di una malposizione della placenta (“placenta previa”) e del 25% altre patologie placentari che complicano poi notevolmente le gravidanze successive. Purtroppo, al lato opposto, esistono invece delle motivazioni materne al cesareo, presenti in circa l’1% delle donne, che vengono spesso trascurate dai ginecologi, portando a parti vaginali difficili, sofferti e problematici: la fobia severa del parto vaginale e le situazioni, a volte associate, di “ipertono”, ossia di spasmo del muscolo elevatore, che chiude in basso il bacino e che dovrebbe distendersi per far uscire il bambino. Quando l’ipertono è marcato (“miogeno”), il rilassamento non avviene e il parto “naturale” può diventare estremamente traumatico e rischioso. Quindi esagerazioni da un lato, omissioni dall’altro.
La domanda cruciale è tuttavia questa: quanta della crescente richiesta della donna di fare un cesareo di elezione non è in realtà indotta dal medico? Come spiegare altrimenti il picco di cesarei al Sud e in casa di cura? Le ragioni sono definite “organizzative”, con picchi del 100% (!) di cesarei in casa di cura nei week-end. In realtà esistono, e altrettanto forti, le ragioni economiche (il parto chirurgico in privato fa guadagnare molto di più) e la maggiore confidenza nella tecnologia e nella chirurgia che non nella naturalità del parto. C’è dunque in corso uno scontro titanico tra le amministrazioni del Nord che vogliono ridurre i cesarei a tutti i costi, anche quando sarebbero indicati, con il rischio che a farne le spese siano donne e bambini, e quelle del Sud, in cui, con qualche luminosa eccezione, il numero di cesarei di elezione è altissimo.
Che cosa dicono le linee guida internazionali? Che la richiesta della donna non può essere ignorata, ma va valutata in modo analitico e assecondata se le motivazioni sono accettabili: così si esprimono le Società di Ginecologia statunitense e inglese, con atteggiamento più restrittivo se la donna vorrà avere altre gravidanze in futuro (per il maggior rischio di complicanze cui la espone il taglio cesareo). Nella pratica italiana, che cosa potremmo fare perché la donna possa fare un parto vaginale in piena sicurezza per sé e per il piccolo, così da ottenere una riduzione dei cesarei non decisa a tavolino, ma realizzata nel pieno rispetto della salute di donna e bambino? La risposta è pragmatica: umanizzare le sale parto, che spesso assomigliano più a una catena di montaggio che non a un luogo sacro, in cui nasce una vita, e dare più spazio alle ostetriche sia per una migliore preparazione al parto sia in sala parto. Questo include quel delicato lavoro di insegnare alla donna a rilassarsi in modo ottimale e a imparare lo stretching che la aiuterà distendere il muscolo per far nascere al meglio il bambino, in un rapporto personale che può calmare le sue ansie e le sue paure (come le brave ostetriche sanno fare), rispettando i tempi di un parto naturale. In un ambiente ospedaliero con medici preparati e sereni, pronti a intervenire, se serve e quando serve, così da garantire quella sicurezza di nascita che ogni coppia e ogni bambino si aspettano e meritano.

Parto vaginale / Parto cesareo Rapporto medico-paziente

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