Avere fede e andare a Messa o a un servizio religioso più di una volta la settimana può ridurre rischi cardiovascolari, cancro e relativa mortalità? Allungando quindi l’aspettativa di salute? Sì! L’attendere a un servizio religioso per più di una volta la settimana riduce la mortalità globale di ben il 33%, rispetto ai non praticanti. Nello specifico il beneficio implica una riduzione della mortalità del 27% sul fronte cardiovascolare e del 21% sul fronte del cancro. Lo studio è stato pubblicato sull’autorevole JAMA (Journal of American Medical Association) pochi giorni fa. E’ iniziato nel lontano 1992 ed è stato completato 20 anni dopo, nel 2012, valutando ben 74.534 infermiere USA. E’ quindi uno studio “prospettico”, come si dice, di tutto rispetto per numerosità del campione, per lunghezza del monitoraggio, per accuratezza della raccolta dei dati e qualità della loro analisi. Le infermiere hanno periodicamente completato una serie di test e questionari, tra cui quelli relativi alla pratica del proprio credo religioso, quando presente.
Perché la pratica religiosa regolare può essere così protettiva da agire come un ottimizzatore di salute? Le ragioni sono molteplici: fisiche, psicologiche, relazionali, spirituali. Innanzitutto, chi ha una fede convinta ha stili di vita più sani rispetto alle persone non religiose: uso di alcol, fumo, droghe sono significativamente minori. Il cibo può avere una dimensione più funzionale alla convivialità familiare che non al compenso di frustrazioni affettive ed emotive (con tutte le eccezioni del caso). La sobrietà nei comportamenti è più probabile e questo riduce i rischi sul fronte della salute, ma anche dello stress. “Affidarsi a Dio” nelle difficoltà e nelle tragedie della vita ha uno straordinario potere di conforto, di consolazione, di sollievo. Aiuta a dare un senso agli eventi – «Sia fatta la volontà di Dio» – in cui con umiltà la persona cerca di accettare l’altrimenti inspiegabile pesantezza e, a volte, atrocità della sofferenza e della cattiveria umana. Il rispetto di regole cardinali, dai dieci comandamenti ad altre simili, aiuta le persone ad avere un comportamento interpersonale più rispettoso di sé, degli altri, dei rapporti familiari, con minore stress e maggiore capacità di mediazione e di perdono.
Il senso religioso della vita, quando profondamente vissuto, dà un’altra visione della caducità delle cose e della vita umana. Riduce l’urgenza, e l’ossessione, degli obiettivi terreni – denaro, bellezza, status, potere – pur incoraggiando a una vita attiva e operosa. Con una cifra distintiva essenziale. Molto del fare è (o dovrebbe essere) finalizzato a far star bene gli altri – la famiglia e il prossimo – con maggiore accento sul “noi” invece che sull’“io”. Il far parte della comunità dei fedeli ha poi un ruolo prezioso anche nella rete di supporto sociale: soprattutto quando la malattia, un lutto, la povertà o la morte bussano alla porta del singolo, che in una comunità aggregata dalla fede è infinitamente meno solo che non in un mondo laico. La liturgia della funzione religiosa ha ulteriori valenze benefiche: la preghiera condivisa, il canto, la ritualità sono potenti calmanti dei tumulti del cuore. La meditazione e il raccoglimento interiore che accompagnano una fede sostanziale, e non di facciata, sono ulteriori sincronizzatori di salute. Questo è stato ben dimostrato in altre pratiche non religiose, dallo yoga alla mindfulness, che aiutano a coltivare spiritualità e interiorità, con la differenza che la pratica religiosa, quando è sentita, ha più probabilità di durare tutta la vita, potenziando l’effetto protettivo.
Comportamenti più virtuosi e attenzione all’interiorità si traducono in cambiamenti fisici misurabili. La riduzione dello stress biologico abbassa l’adrenalina, il cortisolo e l’infiammazione ad essi associata. Le evidenze scientifiche concordano: è l’infiammazione cronica, non più finalizzata a rinnovare i tessuti e a superare danni intercorrenti, il denominatore comune di malattie cardiovascolari, tumori e malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer o il Parkinson. L’infiammazione come “silent killer”, come killer silenzioso, come aveva titolato “Time” su una copertina del febbraio 2004, per segnalare l’aumento impressionante di studi scientifici sul ruolo dell’infiammazione nella genesi di patologie importanti in tutte le specialità mediche. Più siamo infiammati, più siamo malati. L’infiammazione (dal latino “inflammare”, mettere a fuoco), è un vero incendio biochimico, non meno dannoso per il corpo dell’incendio nella realtà del mondo. Attenzione: l’intensità del dolore sta alla gravità dell’infiammazione, come l’intensità del fumo sta alla violenza dell’incendio. Ridurre l’infiammazione è possibile innanzitutto con stili di vita sani e meno stress. Questo studio sulla spiritualità ci dice che anche l’aver fede e praticarla con regolarità ci aiuta a vivere meglio e più in salute. I medici dovrebbero tenerne conto, conclude lo studio, e valorizzare questa risorsa preventiva e terapeutica con i loro pazienti, quando appropriato. Con un domanda per tutti: quanto è viva la dimensione spirituale nella nostra vita?
Perché la pratica religiosa regolare può essere così protettiva da agire come un ottimizzatore di salute? Le ragioni sono molteplici: fisiche, psicologiche, relazionali, spirituali. Innanzitutto, chi ha una fede convinta ha stili di vita più sani rispetto alle persone non religiose: uso di alcol, fumo, droghe sono significativamente minori. Il cibo può avere una dimensione più funzionale alla convivialità familiare che non al compenso di frustrazioni affettive ed emotive (con tutte le eccezioni del caso). La sobrietà nei comportamenti è più probabile e questo riduce i rischi sul fronte della salute, ma anche dello stress. “Affidarsi a Dio” nelle difficoltà e nelle tragedie della vita ha uno straordinario potere di conforto, di consolazione, di sollievo. Aiuta a dare un senso agli eventi – «Sia fatta la volontà di Dio» – in cui con umiltà la persona cerca di accettare l’altrimenti inspiegabile pesantezza e, a volte, atrocità della sofferenza e della cattiveria umana. Il rispetto di regole cardinali, dai dieci comandamenti ad altre simili, aiuta le persone ad avere un comportamento interpersonale più rispettoso di sé, degli altri, dei rapporti familiari, con minore stress e maggiore capacità di mediazione e di perdono.
Il senso religioso della vita, quando profondamente vissuto, dà un’altra visione della caducità delle cose e della vita umana. Riduce l’urgenza, e l’ossessione, degli obiettivi terreni – denaro, bellezza, status, potere – pur incoraggiando a una vita attiva e operosa. Con una cifra distintiva essenziale. Molto del fare è (o dovrebbe essere) finalizzato a far star bene gli altri – la famiglia e il prossimo – con maggiore accento sul “noi” invece che sull’“io”. Il far parte della comunità dei fedeli ha poi un ruolo prezioso anche nella rete di supporto sociale: soprattutto quando la malattia, un lutto, la povertà o la morte bussano alla porta del singolo, che in una comunità aggregata dalla fede è infinitamente meno solo che non in un mondo laico. La liturgia della funzione religiosa ha ulteriori valenze benefiche: la preghiera condivisa, il canto, la ritualità sono potenti calmanti dei tumulti del cuore. La meditazione e il raccoglimento interiore che accompagnano una fede sostanziale, e non di facciata, sono ulteriori sincronizzatori di salute. Questo è stato ben dimostrato in altre pratiche non religiose, dallo yoga alla mindfulness, che aiutano a coltivare spiritualità e interiorità, con la differenza che la pratica religiosa, quando è sentita, ha più probabilità di durare tutta la vita, potenziando l’effetto protettivo.
Comportamenti più virtuosi e attenzione all’interiorità si traducono in cambiamenti fisici misurabili. La riduzione dello stress biologico abbassa l’adrenalina, il cortisolo e l’infiammazione ad essi associata. Le evidenze scientifiche concordano: è l’infiammazione cronica, non più finalizzata a rinnovare i tessuti e a superare danni intercorrenti, il denominatore comune di malattie cardiovascolari, tumori e malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer o il Parkinson. L’infiammazione come “silent killer”, come killer silenzioso, come aveva titolato “Time” su una copertina del febbraio 2004, per segnalare l’aumento impressionante di studi scientifici sul ruolo dell’infiammazione nella genesi di patologie importanti in tutte le specialità mediche. Più siamo infiammati, più siamo malati. L’infiammazione (dal latino “inflammare”, mettere a fuoco), è un vero incendio biochimico, non meno dannoso per il corpo dell’incendio nella realtà del mondo. Attenzione: l’intensità del dolore sta alla gravità dell’infiammazione, come l’intensità del fumo sta alla violenza dell’incendio. Ridurre l’infiammazione è possibile innanzitutto con stili di vita sani e meno stress. Questo studio sulla spiritualità ci dice che anche l’aver fede e praticarla con regolarità ci aiuta a vivere meglio e più in salute. I medici dovrebbero tenerne conto, conclude lo studio, e valorizzare questa risorsa preventiva e terapeutica con i loro pazienti, quando appropriato. Con un domanda per tutti: quanto è viva la dimensione spirituale nella nostra vita?
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