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Senza figli? Sì, per scelta e senza rimpianti

26/08/2013

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Childless” o “childfree?”: senza figli (purtroppo) o liberi dal peso dei figli? L’inglese consente un felice gioco di parole non altrettanto efficace in italiano. Per millenni l’essere senza figli (soprattutto per infertilità) era guardato come una mancanza grave, un deficit sostanziale della femminilità, al punto da giustificare perfino il ripudio, in alcune culture. L’essere senza figli per scelta personale, opzione possibile dagli anni Cinquanta grazie alla contraccezione scelta dalla donna, era considerata come una decisione molto sospetta. Il giudizio negativo derivava da un pensiero sommerso ma potente che vedeva nella scelta consapevole e meditata di non procreare la dimostrazione di un animo egoista, ingeneroso, “eretico”, brutalmente avverso, per qualche oscuro peccato originale, al luminoso (e religioso?) destino femminile della maternità. Solo ora viene pubblicamente discusso il successivo passaggio cardinale della scelta felice, senza rimpianti.
Il tempestivo Times dedica al tema addirittura la copertina: «La vita “childfree”: quando avere tutto significa non avere figli», evoluzione, anche social-filosofica, del più economicamente orientato DINK (double income, no kids: doppio reddito, niente bambini), tipico di tutte le coppie orientate a potenziare la vita professionale e sociale, senza carichi di bimbi. Dal figlio unico (“almeno uno”) al serafico “non voglio figli”. Il cuore pulsante del nuovo passaggio è ben sintetizzato da Hannah Betts, che scrive sul britannico Times: «Non definisco me stessa in base alle scelte riproduttive: sono irrilevanti». Non più madri acrobate o donne sull’orlo di una crisi di nervi perché frazionate in mille compiti da fare tutti perfettamente e possibilmente con il sorriso. Non più l’obbligo moderno di essere “tutte le dee dell’Olimpo contemporaneamente”, con quella sottile persecuzione contemporanea di mettere come modelli in copertina le donne che ce l’hanno fatta a “far tutto” (figli inclusi, sorridendo come se il tutto fosse arrivato facile come un giro di valzer).
Finalmente si discute del poter essere serenamente se stesse, al di fuori dell’ultimo dogma residuo della maternità: senza figli e, soprattutto, senza rimpianti. Anzi, magari con un soddisfatto senso di sé, che aumenta nel tempo quando quella scelta viene riconfermata intimamente dalla pienezza della propria vita, dalla soddisfazione assaporata in altre dimensioni, dal senso di leggerezza felice che questa meditata decisione comporta. Maternità che resta magnifica, ancor più, se scelta perché intimamente desiderata, e sentita davvero come libera espressione della propria luminosa vocazione a procreare, meglio se condivisa con un partner amato. Altrettanto magnifica, se abdicata in modo emotivamente pacificato in favore di altre dimensioni dell’essere e sentirsi se stesse nella vita.
E a chi ancora dice che “il destino della donna è diventare mamma”, anche ad ogni costo, è bene ricordare quante volte l’aver figli sia troppo spesso un incidente di percorso, nemmeno pensato prima nel grembo psichico (il 50% dei concepimenti avviene ancora “per caso”) e poi subìto, accettato o abortito. Oppure una scelta riparativa, di chi non ha risolto i propri problemi, il proprio senso di fallimento o frustrazione affettiva, professionale o esistenziale, e finisce per coinvolgere i figli nei propri disastri. Per poi crescerli infelici o abbandonarli, emotivamente se non fisicamente.
Il dibattito “childless o childfree” è prezioso su entrambi i fronti: per stimolare a scegliere davvero la maternità, dopo aver risolto i quesiti più cruciali del proprio io e del proprio destino, o rinunciarvi serenamente. Sia perché la maternità può essere declinata in modo immensamente soddisfacente anche dal punto di vista psicologico, sia perché non è più un destino obbligato ma un’opzione fremente di gusto di vivere.

Autorealizzazione Riflessioni di vita

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