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Se l'aborto è la fine di un sogno

07/09/2007

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Gentile Professoressa, ho 35 anni e sono in crisi profonda. Per circa tre anni, fino alla scorsa primavera, sono stato insieme a una donna molto bella, e molto più giovane di me. Ne ero orgoglioso e innamorato, ed ero convinto che anche lei lo fosse. Avevamo una magnifica intesa fisica, facevamo bei viaggi... Insomma, tutto sembrava giocare a nostro favore, tanto più che – lavorando entrambi – non avevamo particolari problemi economici. Immagini quindi la mia gioia quando lo scorso dicembre, proprio prima di Natale, mi ha detto che aspettava un bambino! Poco per volta, però, ho notato in lei tanti piccoli cambiamenti, a cui però non ho dato grande importanza: era meno affettuosa, stavamo meno insieme e soprattutto non parlava mai della gravidanza. Anche l’idea di andare a vivere insieme sembrava non sfiorarla nemmeno. A un certo punto mi ha detto che aveva bisogno di stare un po’ da sola, per “abituarsi all’idea di diventare madre così presto”. L’ho lasciata fare. Fino a quando, a fine aprile, mi ha telefonato – sì: telefonato! – per dirmi che aveva abortito, che l’idea di quel figlio proprio non la lasciava vivere, e che era meglio che anche noi due non ci vedessimo più. Io non riesco ad accettare che abbia fatto tutto a mia insaputa: se me ne avesse parlato, forse avrei potuto farle cambiare idea, avrei potuto farla ragionare... Invece niente, non si è minimamente preoccupata dei miei sentimenti: e ora sento solo un grande vuoto dentro. Da allora ho cercato di frequentare altre donne, ma non riesco più ad abbandonarmi: al momento della verità mi viene in mente mio figlio, mi blocco, e lascio perdere. Gli amici mi dicono che sto esagerando, ma io non riesco a tirarmi fuori da questa spirale di rimpianto e di sofferenza. Che cosa posso fare?”.
Stefano (Bologna)
Caro Stefano, capisco la sua crisi e il suo dolore. Purtroppo nella sua vicenda si sommano eventi diversi e tutti molto negativi. Innanzitutto l’aborto in sé, che – anche quando è spontaneo – ha un significato drammatico e fortissimo: la perdita di una vita nata da una relazione d’amore, nel suo caso creduta perfetta. In più, nel suo caso, si tratta di un aborto procurato, e dunque con ineludibili implicazioni etiche. Infine, è un aborto a sua insaputa, e che quindi rappresenta, come i fatti successivi hanno poi dimostrato, non solo il rifiuto del bambino ma anche il rifiuto dell’uomo con cui quel bambino era stato concepito. Il tutto ulteriormente aggravato da vari fattori di contorno, come la reticenza della sua compagna a manifestare i propri sentimenti, le scuse con cui l’ha tenuta a bada per mesi (oltretutto facendo crescere in lei il sogno di paternità), fino all’amaro “dettaglio” di averla abbandonata per telefono, senza avere neppure il coraggio di guardarla negli occhi. Si tratta di una ferita profonda, che, se non curata, rischia di compromettere la sua capacità di accordare fiducia a un nuovo rapporto, a una nuova donna, e perfino a se stesso e alla sua capacità di giudizio.

Una rottura così inattesa e dolorosa era proprio imprevedibile?

Direi di no, almeno stando alla sua lettera. Lei parla di rapporto fantastico, senza incrinature, in cui “tutto giocava a nostro favore”, ma anche di “piccoli cambiamenti” cui non ha dato importanza. Visto come è finita, credo che un po’ di autocritica la debba fare... Ci pensi bene: le sembra normale che una donna innamorata prenda poco per volta le distanze dal padre di suo figlio, e del suo primo figlio? Che non parli mai della gravidanza? Che non si preoccupi della nuova casa, problema pratico, certo, ma anche simbolo pieno di poesia della nuova famiglia che sta nascendo? Preparare il “nido” è un aspetto che di rado la donna delega totalmente all’uomo: perché implica un percorso amoroso, di sogni, di progetti, di sguardi condivisi sulla vita che nascerà: una delle esperienze più belle, fra quelle legate all’attesa di un figlio. O lei era così innamorato da non riuscire a vedere e interpretare certi segnali, oppure la sua donna recitava talmente bene da impedirle di capire chi realmente fosse e che cosa desiderasse dalla vita: un rapporto fisico appagante, un tenore di vita brillante, i bei viaggi, ma ben poco di più. E prima ancora: non avevate mai parlato della possibilità di concepire un figlio? E, se lei non si sentiva pronta, dell’opportunità di una contraccezione seria e rigorosa?

Che cosa ci insegna questa storia?

Soprattutto una cosa: si può essere reciprocamente attratti, si può far l’amore in modo splendido, si può anche avere una vita scintillante e piena di emozioni, ma restare sostanzialmente due sconosciuti. In positivo, Stefano, da un’esperienza così negativa lei può imparare a coltivare una maggiore e più intensa capacità di ascolto della donna che ha davanti: non solo delle sue parole, ma soprattutto dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, del suo spessore umano, della qualità della sua anima. Al di là della bellezza, che l’ha resa al tempo stesso così orgoglioso e così cieco di fronte a tutto il resto.

Hanno ragione gli amici a sdrammatizzare?

Sì e no. Le intenzioni, in sé, sono buone. Ma non è saggio negarsi il tempo del dolore, e riprendere la vita come se nulla fosse. Ognuno di noi ha un proprio modo di amare, e un proprio modo di vivere il dolore del lutto – un dolore psicogeno per eccellenza. C’è chi piange e si dispera, ma poi riprende quota in tempi ragionevoli. Chi si butta sul lavoro. Chi si rifugia nei divertimenti. Lei sta vivendo una forte depressione “reattiva”, abbinata a un blocco severo del desiderio sessuale. Questa è una reazione frequente: il lutto ci porta sempre in un terreno diverso dall’erotismo, in un tempo interiore che è fatto non solo di amarezza e rimpianto, ma anche di salutare solitudine. Nel suo caso specifico, inoltre, è inevitabile che l’intimità faccia scattare immediatamente il ricordo del bambino che avrebbe potuto avere. Per il momento, le consiglio di avere pazienza e darsi ancora un po’ di tempo. Frequenti pure i suoi amici – sono una risorsa preziosa – ma senza “forzare” la ripresa con palliativi superficiali quanto inefficaci. Piuttosto dedichi almeno un’ora al giorno al movimento fisico: la aiuterà a scaricare la tensione. Consideri poi con attenzione l’opportunità di un aiuto psicoterapeutico, che la aiuti a dar parole al suo dolore, a rileggere tutto quello che è successo in modo costruttivo per il futuro, a recuperare fiducia. Se poi la depressione dovesse persistere, potrebbe essere indicata anche una terapia farmacologica antidepressiva. Attraversare con coraggio il dolore – fisico od emotivo - è il modo più sano per tornare a vivere con fiducia un rapporto d’amore, anche nell’intimità. Superando così quel transitorio problema di desiderio che ha una causa così palesemente psichica.

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