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Quando l'istinto di vita ci riporta alla nostra terra

18/07/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Gentile professoressa, mia moglie sta attraversando un periodo molto difficile. Siamo sposati da quattro anni, e viviamo a Milano, dove io ho sempre avuto la mia attività professionale. Anche lei lavora qui, ma la sua famiglia vive nelle Marche. Il problema è che ha un legame molto forte con i genitori e i fratelli, e sente sempre molta nostalgia per loro. Non appena può, fa una scappata e li va a trovare. E rinfaccia a me di averla “costretta” a lasciare il suo mondo, a trasferirsi in una città che non ama e mai amerà, e di non “permetterle” di tornare a casa. Ma quando si è sposati si forma una famiglia nuova, no? Un giorno abbiamo visto un film – non ricordo quale – in cui il protagonista diceva: “Sono felice solo quando sono dove voglio stare”. E lei, subito: “Ecco perché non sono mai felice! Perché a causa tua non posso vivere dove vorrei, dove sento le mie radici più profonde!”. Si immagini il clima da un po’ di tempo che respiriamo in casa... E non è tutto. Da sei mesi aspettiamo un bambino e questo l’ha obbligata a lasciare, almeno per il momento, il suo lavoro di consulente. Dovrebbe essere felice, perché ha sempre desiderato avere un figlio, e invece ha paura di non saper dialogare con il suo, di non riuscire a gestirlo, priva com’è di aiuti familiari... Io le ho detto più di una volta che per lei sarei pronto anche a cambiare città, ma non sembra credermi veramente. Vorrei soltanto che ritrovassimo l’intesa di un tempo, non importa dove, e che nostro figlio potesse crescere sereno. Che cosa ci consiglia di fare?».
Massimo T
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Gentile signor Massimo, sua moglie sta esprimendo un malessere profondo, motivato e complesso che va ascoltato. Cerchiamo di analizzare insieme quello che prova. Il dato fondamentale è che ha un legame fortissimo con la famiglia di origine. Si potrebbe dire che non ha ancora tagliato quel “cordone ombelicale” che la lega ai genitori e ai fratelli: e questo, effettivamente, è un passaggio necessario nel processo di maturazione. Le cose però sono complicate dall’altro forte legame frustrato dall’attuale situazione: la lontananza dal suo mondo. E questo è un cordone più difficile da tagliare, e forse non sarebbe neppure giusto farlo, perché credo che l’attaccamento che una persona sente per la propria terra sia invece un sentimento sano e legittimo.

Non c'è speranza che, con il tempo, possa affezionarsi anche a Milano?

Tutto è possibile: ma mi pare che troppo profonde siano le differenze fra questa città complessa, per molti aspetti affascinante ma anche problematica, e le sue verdissime Marche. Diceva Calvino: “E’ l’occhio di chi la guarda che dà ad ogni città la sua forma”, indicando bene l’estrema soggettività delle proiezioni personali che ci fanno amare profondamente un luogo, e sentirci totalmente estranei e infelici in un’altro.

Perché la gravidanza non l'ha rasserenata?

Perché ha inasprito le difficoltà, obiettive e soggettive, anziché stemperarle: e non poteva che essere così. L’arrivo di un figlio è un’esperienza straordinaria, ma implica anche una profonda ristrutturazione di tutti gli equilibri esistenziali della donna e della coppia. Se il contesto è già difficile, e vissuto in modo conflittuale, la gravidanza non fa che peggiorare le cose perché esaspera – con il suo carico di preoccupazioni concrete – tutti i nodi di tensione preesistenti. Nel caso di sua moglie, in particolare, mi sembra che i potenziali punti “di rottura” siano due: l’ansia che le deriva dal non poter contare sull’aiuto della madre, o di una sorella, e la frustrazione per aver dovuto lasciare il lavoro.

Che cosa possiamo dunque fare?

Nonostante le difficoltà, molte donne e coppie ce la fanno ugualmente. Tuttavia, la crisi di sua moglie è così forte, e le motivazioni così articolate, che prenderei davvero in considerazione la possibilità di un suo ritorno nel paese di origine. Lei, nel frattempo, potrebbe prendersi tutto il tempo necessario per spostare anche il suo lavoro: magari i suoi suoceri, e sua moglie stessa, potrebbero darle una mano in questo senso, cercando, vagliando e segnalandole le opportunità di impiego in zona.

Perché tornare indietro, invece di affrontare la nuova realtà e cercare di assumerla positivamente nella nostra vita?

Per alcuni motivi essenziali. Innanzitutto, come le dicevo, è la totalità delle sue motivazioni, dei suoi desideri, arriverei a dire del suo “istinto di vita” che porta sua moglie a tornare indietro. Non ascoltare questa voce interiore le costerebbe una montagna di energie e una sostanziale infelicità, fatta di rimpianti, che potrebbe finire per logorare anche il vostro rapporto. Inoltre – e glielo dico per esperienza – è meglio mantenere radici affettive forti, quando si ha la fortuna di averle, in tempi come questi in cui la solitudine è sempre più profonda e diffusa, ed è sempre più difficile stabilire legami significativi e appaganti, soprattutto quando ci si sradica cambiando città. Inoltre, l’ansia che la sta prendendo per la gravidanza potrebbe sfociare in una depressione “post partum”, e questo è un pericolo che è assolutamente necessario scongiurare.

Di che cosa si tratta?

La depressione post partum, o “puerperale”, è un disturbo dell’umore che interessa il 10-15% delle puerpere, con picchi del 36% fra le mamme adolescenti. E’ legata soprattutto al crollo dei livelli estrogenici, elevati in gravidanza, subito dopo il parto. I sintomi includono la perdita di interesse per le attività che abitualmente danno piacere, inclusa la cura del piccolo; la difficoltà di concentrarsi o prendere decisioni; l’agitazione psicomotoria o, all’opposto, l’anergia; l’astenia; modificazioni dell’appetito o del sonno; ricorrenti pensieri di morte o di suicidio; sentimenti di inadeguatezza, specialmente come madre, e sensi di colpa; un’ansia eccessiva nei confronti della salute del bambino. Questi sintomi durano da due settimane a oltre 6 mesi, o addirittura un anno e più, se non vengono trattati in modo adeguato.

Tornare nel suo mondo la potrebbe aiutare contro la depressione?

Sì, perché la predisposizione a questo grave disturbo peggiora proprio quando la donna si ritrova da sola ad affrontare il puerperio. La famiglia di sua moglie, unitamente al conforto di ritrovarsi nel suo ambiente, le fornirebbe uno straordinario supporto emotivo, affettivo e anche organizzativo. Tenga presente che sempre più i ricercatori considerano la qualità di questa “rete sociale” come uno dei più potenti analgesici della fatica di vivere e uno degli strumenti più preziosi che ci aiuta a realizzarci compiutamente nella vita. Vostro figlio, quando nascerà, avrà bisogno di una madre serena e sorridente, e non distaccata e inquieta perché travolta dai rimpianti e dalla nostalgia.

Non ci potrebbero essere soluzioni meno radicali?

In alternativa a un ritorno definitivo, sua moglie potrebbe tornare a casa per completare la gravidanza e per il puerperio, così da assaporare quella cura di amore familiare che potrebbe poi farla tornare più forte e solida da lei, e riprovare a vivere a Milano. Magari organizzandosi poi con sua mamma perché ogni tanto possa venire a stare da voi, evitando quella girandola di baby sitter che colpevolizza tante madri quando tornano al lavoro. Però la vedo come una soluzione di ripiego: il rischio è che, prima o poi, la forte nostalgia di sua moglie prenda nuovamente il sopravvento. Valutate comunque con serenità tutte le opzioni, approfittando magari della pausa estiva: poi, in autunno, fate la vostra scelta. Dal canto suo, rassicuri sua moglie non solo a parole, ma dandole segnali concreti della sua disponibilità a cambiare ambiente di vita: magari accompagnandola al paese, restando con lei per qualche settimana, e mostrandole di andare d’accordo con la sua famiglia. Auguri a tutti e due (e al piccolino!), di cuore.

Depressione Nostalgia Rapporto di coppia

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