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Quando il padre cambia

23/01/2006

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

La paternità, oggi, risulta meno certa di ieri. Secondo dati internazionali e italiani, dal 7 al 10 % dei neonati nei Paesi “ad alto reddito” non ha un gruppo sanguigno compatibile con quello del padre anagrafico. Considerando che i gruppi sanguigni sono solo quattro (A, B, Zero e AB), più l’Rh positivo o negativo, la probabilità che il figlio non sia del padre anagrafico è ancora maggiore. Nel senso che per puro caso può succedere che marito e amante abbiano lo stesso gruppo sanguigno (anche se poi il patrimonio genetico è del tutto diverso).
Perché un così alto numero di bambini è concepito con un partner diverso da quello ufficiale? E che cosa comporta questo per il bambino?
Alla base di questo boom di concepimenti extrafamiliari sta senz’altro la liberalizzazione dei costumi sessuali. All’interno di questa, le motivazioni ad un adulterio che arrivi ad un concepimento sono molteplici: l’avventura, la passione amorosa (ed è dimostrato che il concepimento è più probabile in una relazione eroticamente appassionata rispetto ad un rapporto routinario), l’innamoramento ma anche la rivalsa fino alla vendetta, magari come ritorsione ad un precedente tradimento o alla trascuratezza da parte del partner.
Tuttavia, le donne che pensavano di “farla franca”, con qualche senso di colpa o addirittura con segreta soddisfazione, si trovano oggi di fronte alla possibilità che la “vera verità”, che è spesso dolorosa, riemerga anche a distanza di anni. La prova incontrovertibile di un tradimento grave, al punto da aver indotto il concepimento di un figlio, è oggi possibile grazie al test del DNA. In pratica si tratta di confrontare il DNA del bambino e del padre anagrafico, per vedere se siano o meno “compatibili”. Di fatto, se il bambino è davvero figlio del padre, condivide il 50% del suo patrimonio genetico. L’altra metà è della madre.
Come saperlo? Mediante l’estrazione del DNA dai campioni biologici, prelevati per l’esame, costituiti da cellule del piccolo e del padre. La determinazione del profilo genetico di un individuo comporta infatti la genotipizzazione, ossia la descrizione genetica dettagliata, di 9-15 regioni del DNA. L’analisi può essere compiuta già prima della nascita (su cellule della placenta ottenute mediante prelievo dei villi coriali) o mediante cellule contenute nel liquido amniotico (mediante amniocentesi). Oppure dopo la nascita, utilizzando o un campione di sangue (bastano poche gocce) o, più semplicemente, cellule della mucosa interna della bocca ottenute mediante un tampone buccale, oppure da pochi capelli (che però devono essere strappati, perché per l’analisi serve il bulbo pilifero).
Per gli esami “invasivi”, quali un prelievo di sangue, su minori, serve l’autorizzazione della madre o di chi eserciti la potestà. Autorizzazione che non è invece necessaria se il campione da esaminare è ottenuto in modo “non invasivo”. L’affidabilità di questi test è altissima: 99,99 per cento.
La questione è molto delicata sotto molti punti di vista: affettivo ed esistenziale, etico e giuridico. Lo è per la donna, per il partner, ma soprattutto per il bambino, che può essere pesantemente leso. Quando il padre anagrafico scopre che il bimbo che ha amato e nutrito come proprio non è suo, va incontro ad un terremoto emotivo. Dalla rabbia, allo stupore, alla collera, al desiderio di giustizia. Spesso la coppia non regge l’urto di questa scoperta. Oppure la verità viene a galla dopo una separazione. O, ancora, la coppia resta formalmente unita, ma con una profonda frattura interna.
Per il bambino, le conseguenze possono essere gravissime. Innanzitutto, perché il piccolo subisce la lacerazione violenta di un rapporto affettivo essenziale, specie quando l’ex padre richiede il disconoscimento di paternità. Passo che comporta la perdita non solo del cognome paterno ma anche dell’appartenenza alla famiglia dell’ex papà, con tutti i traumi affettivi che questo comporta specie quando la rabbia ha il sopravvento sull’affetto e sulla generosità, nel senso di non far pagare al bambino tutto il peso del comportamento sbagliato della madre. E quand’anche la famiglia resti formalmente unita, c’è il rischio concreto di un aumento netto dell’aggressività dell’uomo verso il bambino o l’adolescente, magari razionalizzata come intento educativo. Di fatto aumenta il rischio di una maggiore violenza fisica e verbale, come del resto succede nei confronti dei figli nati da unioni precedenti.
In un clima generale di deificazione del desiderio, di legittimazione della trasgressione e dei diritti delle donne ad una sessualità felice e gaudiosa, credo sia giusto richiamare l’attenzione su un principio fondamentale: la responsabilità verso il figlio. Di fatto, un concepimento extraconiugale espone il bambino – ora o in futuro – a conseguenze pesantissime, che possono lasciare tracce indelebili. Nessun diritto alla felicità personale può de-responsabilizzare nei confronti di un figlio. Di questo è bene che le donne (e i loro amanti), oggi, siano consapevoli: perché la verità può riemergere attraverso i percorsi e le motivazioni più singolari (inclusi i testi di compatibilità familiare per un trapianto di midollo, o di organi, per esempio). E la coscienza limpida è la via migliore per guardare negli occhi i propri figli con orgoglio e tenerezza, senza fantasmi che possano riemergere dal buio del passato diventando incubi veri nella realtà.

Bambini Famiglia e rapporti familiari Genetica e fattori genetici Paternità

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