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Più attenzione alla verità del dolore nella donna

28/01/2009

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Il mio calvario è durato otto anni. Otto anni di cistiti dopo ogni rapporto, fin che non ne abbiamo più avuti perché quel dolore alla vescica era diventato insopportabile. Otto anni di peregrinazioni tra urologi, ginecologici, omeopati, psicologi, professori e medici alternativi. Le diagnosi più varie, da quelle tremende e senza speranza – “Lei ha una cistite interstiziale” o “Deve imparare a convivere con il dolore” – alle banalizzazioni: “Il dolore è tutto nella sua testa”, o, ancora: “I rapporti li deve avere, perché non può lasciare in bianco suo marito a questa maniera!”. Dopo tanto peregrinare, ho trovato una ginecologa molto preparata che ha diagnosticato tutte le componenti del mio dolore, dallo spasmo muscolare dei muscoli che circondano la vescica (per il quale mi ha fatto fare un ciclo di sedute di fisioterapia e biofeedback), alla carenza di estrogeni in vagina, alla stipsi cronica di cui soffrivo fin da piccola e che nessuno aveva mai considerato, e che mi ha risolto, oltre a stili di vita molto attenti a tutti i fattori che predispongono alla cistite. Morale: dopo un anno di cure sono guarita. Completamente. Posso avere rapporti finalmente felici con mio marito, che in tutti questi anni mi ha sostenuto con la pazienza di Giobbe. Allo stesso tempo, però, penso con tristezza e con rabbia a quella parte della mia vita passata in compagnia del dolore fisico che diventava anche sofferenza morale, a tutto il tempo trascorso a piangere, a tutto quello che potevo fare e non ho fatto, alle passeggiate, alle sere con gli amici, e all’intimità con mio marito che per tanto tempo ho perso, a tutte le volte che ho parlato con i medici della mia sofferenza senza trovare le risposte giuste, all’angoscia e al disorientamento nel sentirmi sola di fronte a un male ingiustificatamente sconosciuto e non curato, al tempo della mia vita che mi è stato sottratto per una diagnosi negata. E allora penso che il diritto alla cura anche del dolore, se una cura esiste, sia un diritto assoluto del paziente e un dovere del medico. Per questo le ho scritto, perché tutto il nostro dolore non sia passato invano”.
Marina L. (Grosseto)
Cara Marina, grazie per questa testimonianza dolente, in cui si riconosceranno molte lettrici. Grazie anche per la speranza che trasmette, perché nulla è più convincente delle parole di chi ha attraversato il deserto del dolore incompreso, della solitudine, della negazione della verità fisica della sofferenza e dei suoi sintomi. Di chi ha conosciuto l’amarezza insultante delle banalizzazioni. Otto anni sono un tempo eterno: l’essere guarita completamente, nonostante una così radicata cronicizzazione, è senz’altro motivo di fiducia e di speranza per le moltissime donne che si trovano ancora nella sua situazione. Condivido a fondo le sue parole. Da trent’anni mi occupo con passione della cura del dolore femminile, specie ginecologico, urologico e oncologico. E per questo ho anche costituito una Fondazione per la cura del dolore nella donna, con tre obiettivi: aumentare in Italia la cultura del dolore, e la conoscenza delle sue cause biologiche, fisiche, ancora troppo trascurate; aumentare il numero di medici e paramedici preparati a diagnosticare e curare il dolore, specie viscerale, in modo appropriato, competente ed efficace; ed aumentare il numero di donne finalmente curate in modo adeguato, in tempi possibilmente brevi (Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore nella donna Onlus).

Perché esiste ancora questo ritardo diagnostico sul dolore?

Perché abbiamo una cultura generale e medica ancora poco attenta alla verità biologica del dolore; perché lo si ritiene un sintomo “ancillare”, di accompagnamento alla malattia principale, e non un vero protagonista in sé di tutto il quadro clinico; perché abbiamo una medicina sempre più specialistica, che tratta il/la paziente come un insieme di organi di cui ognuno cura un pezzetto, perdendo di vista la verità della persona che soffre e l’impatto che la malattia ha anche sui suoi familiari; perché la nostra medicina sta diventando minimalista, un sintomo = una cura, e cistite = antibiotici, perdendo di vista la natura multifattoriale della maggioranza delle nostre patologie. Perché si sta smarrendo l’attenzione alla fisiopatologia, ossia alla complessità di fattori (predisponenti, precipitanti e di mantenimento) che contribuiscono alla malattia e ai cambiamenti biochimici, ormonali, nervosi, immunitari, muscolari, che sempre sottendono una patologia infiammatoria, nel corso della sua evoluzione verso la cronicizzazione.
Perché abbiamo abbandonato la semeiotica, quella capacità di ascoltare accuratamente i sintomi, di visitare con grande attenzione ai segni che la malattia dà di sé, perdendo quell’intelligenza indiziaria che sola mette il medico in grado di “leggere” i sintomi in un quadro organico, con una diagnosi (il conoscere attraverso i sintomi), una prognosi (l’anticipare l’evoluzione della malattia in base all’esperienza clinica e alla letteratura scientifica) e una terapia efficace. Che esiste, in particolare per le cistiti che compaiono 24-72 ore dopo un rapporto sessuale, purché si affrontino i diversi fattori che concorrono a causare e mantenere l’infiammazione e il dolore, come ha fatto la sua ginecologa.

Quali sono gli errori più comuni in caso di cistiti dopo rapporto?

Il concentrarsi solo sulla componente infettiva, prescrivendo antibiotici sempre più aggressivi, finendo per distruggere la flora batterica intestinale vaginale, creando così le condizioni sia per resistenze batteriche sempre più tenaci, sia per proliferazioni di Candida, un fungo che a sua volta può causare molte altri problemi difficili poi da risolvere; il non regolarizzare l’intestino, che è il mandante occulto delle infezioni da Escherichia Coli vaginali e vescicali; il trascurare il pH vaginale e il livello di estrogeni vaginali; il non considerare che il muscolo che circonda la vagina (elevatore dell’ano) si contrae in risposta all’infiammazione e contribuisce in modo meccanico al danno vescicale, ad ogni rapporto. In positivo, curando tutti questi aspetti come giustamente ha fatto la sua ginecologa, è possibile risolvere radicalmente il problema, prevenendone anche l’evoluzione nella temibile cistite “interstiziale”. Grazie ancora, cara Marina, per aver condiviso con noi un cammino di speranza! E auguri per tanta meritata felicità.

Prevenire e curare – Guarire la cistite dopo i rapporti con la strategia giusta

Sotto controllo medico:
- regolarizzare l’intestino, con probiotici e lassativi di massa;
- rilassare il muscolo elevatore dell’ano, con stretching, automassaggio, fisioterapia e biofeedback elettromiografico (una tecnica che ottimizza la capacità di rilassare il muscolo); in casi selezionati è indicata la tossina botulinica;
- normalizzare l’ecosistema vaginale, mediante estrogeni locali, vitamina C o ovuli di acido borico;
- “calmare” la cellula infiammatoria iperattiva, il “mastocita”, con palmitoiletanolamide, una sostanza naturale che riduce l’infiammazione;
- ridurre il dolore, con antidolorifici e, nei casi gravi, antiepilettici, che riducono il numero di segnali del dolore che arrivano al cervello;
- ridurre lo stress, che amplifica la percezione del dolore;
- sospendere i rapporti sessuali vaginali finché la cistite non è completamente risolta. Riprenderli poi con gradualità, utilizzando un lubrificante vaginale e facendo attenzione che il muscolo elevatore sia rilassato e la lubrificazione naturale adeguata.

Cistite post coitale Dolore acuto / Dolore cronico Rapporto medico-paziente

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