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Omosessualità: le paure dei genitori

15/11/2005

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Le scrivo in un momento di disperazione. La mia unica figlia, bella, simpatica, intelligente, mi ha rivelato di essere omosessuale. Sono caduta dalle nuvole. Tutto avrei pensato, meno questo cosa tremenda. Ha 18 anni, aveva avuto qualche filarino a scuola, nulla di serio. Ma è talmente impegnata tra amici, scuola e attività varie (ha una autentica passione per l’equitazione), che pensavo che all’amore si sarebbe aperta dopo! Invece mi ha detto di aver sempre provato attrazione per le ragazze, che ha provato con qualche ragazzo per vedere se funzionava ma che proprio non le interessano. E siccome adesso ha una ragazza che le piace molto, e non vuole vivere nell’ipocrisia, ha deciso di dirlo a me e suo padre e buonanotte. Noi due uccisi, annichiliti, senza parole. Non ha nulla della omosessuale: anzi è molto femminile e ho spesso notato lo sguardo di ammirazione degli uomini. Ha un ottimo rapporto sia con me che con mio marito – o almeno così ci sembrava – perché abbiamo messo in discussione tutto. Insomma non c’è nulla nella sua storia, nel nostro atteggiamento, nel suo modo di essere, che possa spiegare questa scelta così particolare. O forse non ci sembrava ci fosse nulla. Sono sorpresa anche dalla mia reazione. Non mi sembrava di avere nessun pregiudizio verso i gay o le lesbiche. E adesso sono qui a rodermi, a chiedermi dove ho sbagliato, perché un errore ci deve pur essere. E, soprattutto, esiste una cura per l’omosessualità, o è una condizione irreversibile?
Sotto shock
Questo è il punto critico, gentile signora: “Si può curare l’omosessualità affinché un ragazzo, o una ragazza, possa tornare “normale?”. No, questa possibilità non esiste, se con questo termine si intende l’intento di cambiare la direzione del desiderio per farlo “tornare” su una persona del sesso opposto. Quando la scelta omosessuale è “egosintonica”, ossia armoniosa con l’Io profondo, come mi sembra sia in sua figlia, non c’è terapia che la possa cambiare. Per la stessa ragione per cui non c’è terapia che possa far diventare omosessuale una persona eterosessuale: non esiste una terapia che possa cambiare la direzione del desiderio sessuale! Non esiste nemmeno quando la persona lo desidera fortemente, come succede in quelle persone omosessuali che per ragioni religiose o personali farebbero di tutto pur di avere un desiderio orientato verso una persona dell’altro sesso. Si può inibire il desiderio, anche farmacologicamente, ma non c’è, ripeto, nessuna terapia, né farmacologica né psicologica, che possa modificarne la direzione. Men che meno quando la condizione omosessuale è ben accettata dal soggetto (come in sua figlia) e il desiderio di terapia esprime solo la non accettazione della scelta da parte di uno o entrambi i genitori. In questo caso manca la prima condizione necessaria per qualsiasi psicoterapia: la motivazione personale al trattamento e al cambiamento.
Perché, anche volendolo, non c’è terapia? Perché l’alchimia di segnali biologici, psichici e relazionali che accende il desiderio per una persona di uno o dell’altro sesso è estremamente complessa e ancora  misteriosa. E perché la possibile componente biologica, genetica, dell’omosessualità, come è stato dimostrato in una parte degli omosessuali, non è modificabile, almeno per ora. Gli studi su gemelli omozigoti, ossia identici, hanno infatti dimostrato una concordanza nella scelta omosessuale del 48%, nei maschi, e del 27%, nelle femmine. La componente genetica è quindi molto, molto più forte di quanto ritenuto in passato!
Diverso è il caso quando la omosessualità è “di transizione”, come può succedere in ragazzi e ragazze molto giovani e molto aperti, che amano sperimentarsi anche con l’erotismo, e/o quando in realtà la persona è bisessuale, ossia in grado di vivere il desiderio in modo non esclusivo per l’uno e l’altro sesso. Questi ragazzi e  ragazze, d’altra parte, non si definiscono “omosessuali” ma indifferenziati (“undifferentiated”). In tal caso sottolineano chiaramente di essere più interessati alle emozioni che provano verso quella specifica persona, che non al fatto che sia maschio o femmina. Puntando quindi più sulla persona in sé che non sul suo genere, maschile o femminile, caposaldo qualificante invece della scelta d’amore fino a pochi  anni fa. In ogni caso, anche quando il comportamento è bisessuale,  non si tratta di “cura”, nel senso di terapia finalizzata a un cambiamento definitivo, nell’uno o nell’altro senso, ma di un percorso interiore di chiarificazione, di conoscenza e di accettazione di sé, anche nella propria complessità erotica e di méta sessuale.
Forse una psicoterapia breve può essere utile a lei, e a suo marito, per comprendere perché vi sentite “annichiliti”, per superare i sensi di colpa che affiorano tra le righe, per superare lo shock. E anche quel senso di  perdita, per non avere più la figlia “perfetta” che pensavate di avere, secondo un certo stereotipo di perfezione. E tuttavia, se la bontà del rapporto fra genitori e figli si vede dalla felicità dei figli nell’essere se stessi, e nella trasparenza nel comunicare le proprie scelte più intime alle persone più amate, no, non avete sbagliato. Anzi! Anche se la misura in cui vostra figlia colloca la sua musica non è quella che avevate sognato per lei.

Adolescenti e giovani Omosessualità

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