EN

Nella rete del gioco d'azzardo

13/04/2007

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Gentile Professoressa, Le scrivo per un problema che sta molto preoccupando me e mia moglie. Nostra figlia, Laura, è una brava ragazza, affettuosa, solida. Ha 24 anni e sta per laurearsi in giurisprudenza. Noi siamo persone semplici, lavoriamo tutti e due in una piccola azienda, e per lei – così intelligente e studiosa – stravediamo. Vorremmo che avesse nella vita tutto quello che a noi è mancato… ma nel modo giusto. E vengo al nostro problema. Da circa otto mesi, Laura ha conosciuto un giovane un po’ più grande di lei, e già affermato sul lavoro. E’ un bel ragazzo, educato, simpatico, e sulle prime ci è piaciuto molto. Ma due mesi fa nostra figlia ci ha detto che ogni tanto, al sabato, vanno al casinò, dove lui gioca anche parecchi soldi. E che anche lei si sta appassionando e trova molto eccitante quel tipo di serata: «Mi diverto tantissimo – ci ha detto – E poi, che c’è di male? I soldi sono suoi, li può spendere come gli pare! A volte giochiamo persino su Internet». A noi, come può immaginare, è caduto il mondo addosso. Non è che siamo in miseria, ma siamo comunque abituati a evitare gli sprechi, a pensarci bene prima di affrontare una spesa. E quello lì, invece, cosa fa? Spreca i soldi al tavolo da gioco! Siamo molto preoccupati per nostra figlia. Non capisce che il gioco è una droga come un’altra, e che può ridurre sul lastrico… E se un domani avessero dei figli, come si potrebbe stare tranquilli con una simile situazione? Laura dice che stiamo facendo una tragedia per nulla. Lei invece cosa ne pensa?”.
Mario (Torino)
Lo scenario che lei traccia è molto negativo, forse più di quanto la situazione meriti in questo momento. Tuttavia capisco la vostra preoccupazione, che nasce dalla pessima fama che il gioco d’azzardo ha nell’immaginario collettivo. Ma è doveroso fare una distinzione: di per sé, il gioco d’azzardo, se occasionale, non costituisce una dipendenza né, a maggior ragione, una patologia. Questo rimane vero anche se le visite al casinò si ripetono nel tempo, ma senza una vera continuità, come quell’espressione che lei usa – “ogni tanto” – mi fa pensare: si tratta di un comportamento che non configura (o non configura ancora) una dipendenza. Diverso è il caso in cui la frequentazione del tavolo da gioco diventi l’unica forma di passatempo, o finisca addirittura per sottrarre spazio al lavoro o agli affetti: qui saremmo di fronte a una vera e propria dipendenza.

Perché una persona per molti aspetti equilibrata si appassiona al gioco?

Nella sua forma non patologica, il gioco d’azzardo può costituire una passione “di transizione”, soprattutto quando nella vita reale – personale o professionale – si sperimenta una fase di noia, di stanchezza, di scarsa soddisfazione, di routine insomma, che esaspera il bisogno di emozioni e gratificazioni. E’ possibile che il fidanzato di vostra figlia si trovi in una di queste fasi di “bassa marea”, in cui il gioco è una sorta di autoterapia (illusoria e costosa, non c’è dubbio, specialmente quando si perde molto) contro l’insoddisfazione quotidiana.

E quando la dipendenza diventa patologica?

Nei casi più gravi, gli appassionati del gioco d’azzardo sviluppano una vera e propria adorazione per la “dea fortuna”: un feticcio oggi in rapida ascesa – basta guardare le decine di giochi a premio che imperversano in televisione – mentre sono in caduta libera tutti i valori legati al lavoro, alla competenza, all’impegno personale, al sacrificio, un tempo ritenuti indispensabili per riuscire nella vita. Chi gioca d’azzardo in modo compulsivo ha un pensiero - lo potremmo definire “magico-infantile” – che lo spinge a uscire dalla faticosa vita quotidiana per entrare in un mondo misterioso, impredicibile, dove per avere successo non servono intelligenza, cultura, competenza, impegno. Il giocatore forte preferisce credere che la vita sia attaccata al filo della fortuna e che la filosofia dei piccoli passi quotidiani sia noiosa. Poco per volta, questo meccanismo diventa incontrollabile e nasce la vera e propria “dipendenza”. Questa è innanzitutto psicologica: l’ebbrezza provocata dal gioco e dalla scarica di adrenalina che ne consegue richiede infatti “dosi” sempre più alte di rischio per autoalimentarsi. Al punto che chi diventa davvero dipendente dal gioco dice di sentirsi vivo solo quando gioca. A tutto questo si aggiunge il fatto che, quando si perde, scatta il desiderio di “rifarsi”, il che comporta ulteriori puntate di denaro e spesso, purtroppo, ulteriori perdite, in un circolo vizioso che rischia di non arrestarsi più. L’eccitazione emotiva, legata al gioco, ha tuttavia una sostanziale base biologica: nel giocatore accanito si modificano infatti i circuiti neurobiologici che presiedono i comportamenti “appetitivi”, incluso il desiderio di giocare; le vie che regolano l’ossessività, al punto che il gioco d’azzardo frequente può esprimere un Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC); e i sistemi neurobiologici di “ricompensa”, che regolano e rinforzano i nostri comportamenti. Ecco perché quando il gioco d’azzardo da occasionale diventa frequente può richiedere anche un trattamento farmacologico che va a modificare proprio il “terreno” neurobiologico che concorre ad alimentare e mantenere il disturbo.

Questa situazione si riproduce anche quando si gioca su Internet?

Certamente, e in questo caso si parla di “compulsive on line gambling”, “gioco d’azzardo compulsivo on line”: un impulso reso ancora più irresistibile dalla facilità di accesso ai casinò virtuali. Il problema poi si aggrava quando a collegarsi a questi siti sono i minorenni: per giocare è infatti sufficiente fornire un numero di carta di credito, e di solito non esiste alcuna altra barriera di sicurezza basata sull’identificazione dell’utente.

Cosa possono fare i genitori quando un figlio è preso dal gioco?

Capisco come lo spreco di denaro sia angosciante per persone come voi, abituate a controllare con saggezza ogni uscita per garantire serenità e benessere a tutta la famiglia. E credo sia giusto che esprimiate a Laura le vostre preoccupazioni. Ma è ancora più importante cercare di capire qual è il suo stato d’animo attuale, se ha dei sogni personali da realizzare, se ha un progetto di vita, o se in questo momento è un po’ allo sbando.
Vostra figlia, con quali soldi gioca? Se sono suoi, come se li guadagna? E’ contenta degli studi che fa? Ha progetti per il lavoro? Ha amiche e amici da frequentare, interessi al di là dello studio (e del gioco)? Ha mai avuto altri tipi di dipendenza, per esempio dal cibo, dal movimento fisico, dagli acquisti? Ha mai avuto passioni al limite dell’ossessione? Siccome dite che è una ragazza “solida”, suppongo che nella sua storia non abbia mai avuto queste forme di vulnerabilità. Ed è senz’altro un bene, perché la dipendenza dal gioco si innesta spesso su altre dipendenze, e finisce per intrecciarsi ad esse in modo inestricabile.
Se dovessero emergere problemi di fondo rispetto ai quali il gioco è solo un “semaforo rosso”, un segnale d’allarme, allora la prima cosa è farle capire che ci sono altri modi per risolvere i problemi e ritrovare il gusto di vivere, e che voi siete pronti ad aiutarla. Una seconda possibilità, da valutare però con il vostro medico di famiglia, è proporre a Laura un aiuto psicoterapeutico, con un terapeuta qualificato, per mettere a fuoco i suoi nodi irrisolti e far emergere in lei le energie necessarie a superarli.

Dipendenze, droghe e doping Internet, videogiochi e televisione

Iscriviti alla newsletter

Rimani aggiornato su questo e altri temi di salute e benessere con la nostra newsletter quindicinale

Iscriviti alla newsletter