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La grande scommessa: dalla palude dell'inerzia a protagonisti della vita

02/06/2014

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Due milioni di giovani italiani non studiano e non lavorano. Fra tutte le nere notizie che ci affliggono, questa è la più desolante. La retorica sulla disoccupazione e sui diritti dei giovani glissa su un aspetto essenziale: che il lavoro è sì un diritto, ma anche un dovere, nel senso che richiede l’impegno di volerlo fare bene. O almeno voler imparare a farlo bene. Quanti oggi non sono disoccupati, ma inoccupabili? Discorso scomodissimo, ma bisogna avere il coraggio di farlo, se si vuole uscire da questa palude di inerzia esistenziale che divora migliaia di vite nella loro stagione migliore. Soprattutto, se si vuole che decine di migliaia di giovani (e meno giovani), oggi ai margini del mercato del lavoro, tornino ad essere protagonisti della loro vita, anche attraverso un’attività che dia soddisfazione, reddito e ruolo sociale.
Ascoltando imprenditori, professionisti e artigiani che cercano collaboratori a vario livello emergono alcuni prerequisiti, spesso assenti in chi cerca lavoro, perché considerati “superati” e che invece sono straordinari facilitatori di assunzione e carriera: il primo gruppo riguarda i fondamentali di ogni vita professionale, il secondo il metodo, l’“occhio per il lavoro”, il terzo la competenza specifica. In cima alla lista delle priorità, la buona educazione. Chi sa comportarsi in modo civile predispone l’interlocutore in modo positivo. Gentilezza, garbo, tono di voce, sorriso, postura, capacità di ascoltare (e di mettersi in discussione senza arroccarsi alla prima osservazione) sono fondamentali in ogni lavoro, specialmente se a contatto con gli altri: valgono per la commessa come per l’impiegato del Comune, per l’insegnante come per l’operaio della carrozzeria o per l’idraulico o il giardiniere (oltre che per i professionisti d’ogni tipo e livello). Ognuno di noi entra volentieri nel negozio, nel bar o nello studio professionale dove trova personale educato e gentile. E tendiamo a non tornare dove abbiamo trovato rozzezza, indifferenza, arroganza, brutalità di toni e mancanza di disponibilità. Purtroppo l’orrendo spettacolo dei nostri politici, arrivati ai vertici dell’insulto e dell’infamia proprio in questi giorni, va nella direzione opposta. Resta il fatto che l’educazione è uno straordinario facilitatore professionale a tutti i livelli e un formidabile fattore antistress nel lavoro, in tempi difficili per tutti. La prima educazione ai sentimenti e alla vita sociale si riceve in famiglia, poi a scuola. Non è mai troppo tardi per imparare, osservando le persone educate, o anche con corsi appositi: tutto si può migliorare, soprattutto se si è motivati a farlo.
La seconda diffusa carenza è la conoscenza dell’italiano, ormai diventato per troppi una lingua straniera (senza che poi di straniera vera ne conoscano nemmeno una). «Sì, so scrivere al computer», ti dicono. «D’accordo, ma che cosa e come scrivi?». Questo è essenziale. Tutte le professioni che richiedono comunicazioni scritte esigono un italiano corretto. Qui la scuola, in degrado vertiginoso, ha responsabilità pesanti. Ma le hanno del pari i genitori, che iperproteggono i pargoli e aggrediscono gli insegnanti, invece di fare fronte comune con loro per avere figli più educati e preparati.
Il secondo limite è la mancanza di metodo, dell’occhio per il lavoro. Un quid fatto di motivazione a migliorarsi, a imparare, a riconoscere i problemi prima che esplodano, a osservare con attenzione quello che succede, a sentire il piacere personale di un lavoro ben fatto, ad anticipare le situazioni, cogliere gli sguardi: “esserci”, con la testa e col cuore. Un impegno di qualità, che va certo incoraggiato, premiato e pagato, a tutti i livelli. Il terzo è l’incompetenza, per titoli di studio sempre più svuotati di sostanza professionale.
Uscire dalla palude è difficile ma non impossibile. Bisogna crederci, senza alibi, con impegno quotidiano, voglia di imparare e di crescere, anche facendo piccoli lavori fin da studenti. Ne ho fatti diversi, da studentessa e poi dopo la laurea, durante i molti anni di volontariato universitario. Da tutti ho imparato qualcosa che mi ha fatto crescere, come persona e come medico. Per uscire dalla palude ci vuole coraggio, senza arrendersi a una sterile attesa. E darsi da fare davvero, in prima persona, studiando e lavorando.

Adolescenti e giovani Apprendimento Autorealizzazione Educazione Lavoro Riflessioni di vita Scuola e università

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