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La bellezza della vita nello sguardo e nel cuore

La bellezza della vita nello sguardo e nel cuore
31/12/2018

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«E’ l’occhio di chi la guarda che dà a ogni città la sua forma», dice Italo Calvino nello splendido libro “Le città invisibili”. Per segreta simmetria, è lo sguardo e il cuore di chi la guarda che dà a ogni vita la sua forma. Sguardo come sintesi di quanto accade e si stratifica nel cervello viscerale e nel sistema nervoso centrale nel corso della vita, rielaborando quanto la genetica predispone e lo sviluppo dell’esperienza, e degli stili di vita, costruisce. Cuore come sintesi di emozioni e di vissuti di relazioni. Insieme determinano un’identità umana unica e singolarissima, che dialoga continuamente con il mondo, modificandosi.
Il punto è: come? Quanto siamo protagonisti consapevoli e attivi di come il nostro sguardo si modifica nel tempo? Quanto riusciamo a intervenire su sguardo e cuore in tempo reale e in modo efficace? Riflettendo sulle diverse percezioni dell’esistenza che le persone hanno, e da cui dipende il loro giudizio sulla loro stessa vita, appare chiaro come lo sguardo sia modificato potentemente da fattori interiori, cui non pensiamo abbastanza. E che di conseguenza non controlliamo a sufficienza.
Quando si parla di “fattori interiori” in genere si pensa a fattori spirituali o impalpabilmente emozionali. In realtà la prima e più potente variabile interiore è la chimica del corpo. Il primo fattore condizionante è la nostra salute. Il primo regista è quello che mangiamo, e beviamo, da cui dipende quanto e come viene attivato il nostro cervello viscerale. Da lui dipende il nostro umore (lì abita il 90% della serotonina, il neurotrasmettitore che lo regola). Il buon cibo ci rende felici, e il trionfo di leccornie natalizie ne è esempio sontuoso. Tuttavia, l’eccesso di zuccheri, di grassi e di alcol può diventare tossico, rendendo nere le lenti con cui lo sguardo si posa sulla vita e triste il cuore. Con giudizi a volte vertiginosamente negativi per cui i pranzi con i parenti sono un tormento, i regali di Natale una tortura, la pausa natalizia un incubo da cui molti vorrebbero risvegliarsi indenni il 7 gennaio. Un “malumore biochimico”, come lo chiamo io, figlio anzitutto di una chimica biologica, di natura alimentare. Modificabile, se consapevolmente riduciamo gli appuntamenti natalizi, il numero di cene e il sovraccarico di cibi. Una scelta sobrietà che tenga le lenti giuste su corpo, sguardo e cuore. Per festeggiare meglio e con più soddisfazione, durante e dopo le feste.
La questione diventa ancora più delicata sul fronte delle relazioni affettive e parentali, dove un’attentissima e sapiente regìa è necessaria per non usurare energia vitale e desiderio. Molte coppie lo sperimentano sulla loro pelle. Invece di un “bianco Natale” vivono un “Natale in bianco”: perché lo stress di acquisti inutili a ritmo forsennato, le tensioni da gestione rocambolesca di rapporti sull’orlo della crisi di nervi, le collere sommerse, le rinunce, le complicazioni delle famiglie “allargate” di tutti i tipi rendono estremamente dispendiosa la spesa affettiva ed energetica.
Come sopravvivere, mantenendo limpido lo sguardo e felice il cuore? Anche qui, riducendo, riducendo, riducendo. Limitandosi, fin dove possibile, a quanto e a chi ci dà gioia davvero. Magari scegliendo, in perfetto anticonformismo, una pausa di silenzio, fatta di riflessioni serene, di camminate in campagna o in montagna, di letture che accendano il cervello e il cuore, di musica amata, di sogni a occhi aperti, di contemplazione luminosa della bellezza del mondo. Contemplazione che richiede decelerazione, che richiede di rallentare i battiti del cuore, di abitare il tempo gustando leggerezza e lentezza.
Certo, lo scintillio del Natale può regalare gioia profonda. Il punto è ascoltarsi per scegliere il Natale su misura, più adatto alla propria verità. Mediandolo, e qui ci vuole arte, con i bisogni e i desideri degli altri familiari. Negoziando per tempo prima, per non logorarsi dopo. E se si è stati bravissimi a far felici tutti, tranne se stessi, è saggio regalarsi un giorno senza nome, tutto per sé, figli piccoli permettendo. Un giorno antistress, per ricaricare le pile, da usare come paradigma per l’anno che verrà. In fondo, «ama il prossimo tuo come te stesso» è una raccomandazione millenaria per ricordarci che l’equilibrio dinamico tra bisogni e desideri personali e quelli di chi amiamo è indispensabile per mantenere uno sguardo luminoso sulla vita e un cuore felice. Buon Natale!

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