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L'infanzia derubata

02/04/2012

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

E’ possibile limitare l’ipersessualizzazione delle bambine, vestite come piccole donne ammiccanti, e delle neoadolescenti, abbigliate come spregiudicate donne di vita? La tendenza è talmente forte che contrastarla richiede uno sforzo sistematico e articolato, che non può essere lasciato alla discrezionalità dei genitori, spesso artefici e complici compiaciuti del fenomeno. Perché arginarla? dirà qualcuno. Così va il mondo. Sì, ma questo deruba i nostri figli di un tempo essenziale e insostituibile, il tempo dell’infanzia. Età necessaria, che viene inaridita e bruciata dall’imitazione precoce e intempestiva di abbigliamenti e comportamenti da adulti.
Il fenomeno percorre inquietante tutto il mondo occidentale, con un picco negli Stati Uniti. Anche in Francia è talmente diffuso da aver meritato la presentazione di un dettagliato rapporto al Parlamento, ad opera di una senatrice, Chantal Jouanno, ex ministro dello Sport e campionessa di judo. Tra le proposte per arginare l’ipersessualizzazione, la Jouanno mette anche il ripristino delle divise scolastiche, fin dalle elementari. Proposta che da noi era stata già fatta nel 2008 da Gabriella Giammarco (Pdl) e considerata con attenzione dall’allora ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, con il solito esito all’italiana, di lasciare la decisione finale alla discrezionalità di Presidi e Istituti. Perché non pensare seriamente ad una uniformità di decisione che valga per tutto il Paese, dalle elementari fino alla fine dei licei? Meglio se con divise di tipo anglosassone, al posto dell’arcaico grembiule, che va bene per le scuole materne e forse per le elementari. I vantaggi sarebbero molti, se della divisa cogliessimo le molte positività, senza limitarci alla lettura repressiva.
La divisa, per tutte le professioni che la usano, è innanzitutto un’affermazione: di appartenenza, di identità, di ruolo. Portano l’uniforme i corpi militari; portano la divisa medici, infermieri, fisioterapisti, cuochi, tramvieri, ferrovieri, piloti… e tutte le squadre sportive. Gli allievi dei college inglesi, australiani e nordamericani la portano con orgoglio e a nessuno è mai passato per la mente di eliminarla, nemmeno negli anni ruggenti del “Sessantotto”. A scuola, diventerebbe anche un’affermazione di uguaglianza, per limitare, almeno in quel contesto e per quelle ore, la corsa al vestito firmato che esaspera la vanità di bambini già piccolissimi e umilia i coetanei le cui famiglie non se lo possono permettere. Potrebbe ri-diventare un’affermazione di scopo: a scuola si va per studiare, per apprendere, per affinare i propri talenti, per crescere. Per imparare un po’ di sana disciplina e di buona educazione, prerequisiti essenziali di quel quid sfuggente che tutti vorrebbero avere e che sempre più latita: lo stile. C’è una sacralità, nella scuola, perché dovrebbe essere il tempio in cui si formano le menti dei nostri figli, e in cui si allenano i loro talenti migliori. Tempio oggi vandalizzato, devastato, oltraggiato, con alcune luminose eccezioni, spesso legate all’entusiasmo e alla passione di qualche insegnante e qualche preside, e di genitori che hanno mantenuto saldo il senso del loro ruolo. La divisa potrebbe diventare un simbolo, un messaggio: che ci ricorda l’importanza di avere tempi e luoghi dedicati all’apprendere, e di rispettare le stagioni della vita, senza accelerazioni comportamentali ed emozionali devastanti.
Comprimere il tempo dell’infanzia, consentendo una sessualizzazione anticipata ed esasperata, significa derubare i nostri figli del tempo del gioco, del sogno, del gusto di imparare e mettersi alla prova con modi e obiettivi adeguati all’età. Con rischi molteplici, tra cui un’esasperazione emozionale che li consegnerà indifesi a infinite paludi di noia e consumismo. Rispettare il tempo dell’infanzia dovrebbe diventare una priorità educativa nazionale. Che può passare anche per il piccolo ma significativo ritorno della divisa a scuola. Augurandoci che sia il primo passo per una maggiore attenzione ai contenuti, al piacere di imparare ma anche all’educazione al senso del dovere e della responsabilità.

Adolescenti e giovani Bambini Educazione Scuola e università

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