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L'Italia delle lunghe derive

14/01/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Ci si può appassionare alla lettura di un articolo – e di un libro – sullo stato degli Italiani, o meglio, sulla situazione sociale del nostro Paese? Sì, se è scritto in modo avvincente, se l’analisi è accurata e profonda, se evita l’insidia della lamentazione sulla deriva delle norme, dei valori delle esistenze individuali e dello Stato, e se, soprattutto, individua con altrettanta lucidità i punti di forza, ancorché di minoranza, per contrastare l’entropia generale. Se riesce a dare una visione che è una scossa e un richiamo al fare, all’essere nel fare bene.
Giuseppe De Rita, Presidente del Centro Studi Investimenti Sociali (Censis), quest’anno si è superato. Nella sua introduzione al 41° Rapporto sulla situazione sociale del Paese (Franco Angeli Editore) riesce infatti a sintetizzare le evidenze emerse dai più articolati studi presenti nel rapporto con rigorosa lucidità, a volte con humour sottile, sempre con uno sguardo in cui l’esperienza dell’analisi, e la consapevolezza del livello dei mali italiani, non abbandonano mai la speranza che le cose possano mutare in meglio, se ci si crede e ci si impegna.
Da medico, credo di poter dire che una diagnosi accurata dei fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento della malattia è essenziale per la terapia, non solo in medicina, ma anche e altrettanto nel mondo sociale. Solo con una diagnosi articolata è possibile individuare le strategie di cura. Bene: questo testo è una diagnosi sociale di rara accuratezza. Ecco perché merita di essere letta personalmente, da molti italiani, per lo meno nell’area di competenza professionale ed esistenziale: per il piacere di una lettura di rara qualità e per lo stimolo personale che ciascuno ne può trarre.
E’ una lettura da suggerire a tutti coloro che non si sono arresi all’idea di essere mucillagine, particelle vischiose e irrilevanti in un Paese alla deriva, e che sentono dentro di sé la voglia di non conformarsi al peggio, di essere protagonisti di una vita che meriti di essere vissuta, di un progetto individuale in cui la libertà sia azione disciplinata anche nel rispetto degli altri. E non, come oggi si pratica, capriccioso e imperfetto possesso di sé, e pulsione a fare tutto quello che passa per la mente.  Sono 12 pagine e 12 punti su cui discutere a scuola, alle superiori e all’università – perché è lì che i nostri ragazzi “decidono” più o meno consapevolmente se arrendersi alla deriva o impegnarsi per una vita da protagonisti, nel piccolo come nel grande mondo. Su cui discutere in azienda. Sicuramente da leggere da parte dei vari Assessori e Sindaci dei nostri Comuni, Province e Regioni, che forse non ne hanno meditato nemmeno una pagina. E, perché no, in famiglia.
La sintesi: c’è un’Italia imprenditoriale vivace, coraggiosa e creativa, che punta ad una fascia altissima di mercato, capace di articolate strategie di nicchia e di rilocalizzazioni che stanno riossigenando aree importanti, soprattutto nel Nord-Est, e che anima l’orgoglio imprenditoriale di chi sente di navigare su mari nettamente più luminosi di quelli della finanza e della politica. Tuttavia, quest’avanguardia intensa e scintillante resta a sé: molto più in dietro si muove con inquieta inerzia un Paese che arranca e perde terreno. Un terreno scomodo e insidioso, per il debito pubblico che pesa come un macigno, per i vari “tesoretti” a destinazione variamente politica, per le turbolenze finanziarie mondiali; soprattutto per il dissanguamento della ricchezza delle famiglie per pagare gli interessi sul debito.
Dall’analisi del Censis, i nemici, i fattori di rischio di questa deriva verso il peggio, sono una diffusa povertà psicologica, per perdita di relazioni interpersonali di qualità; il predominio delle pulsioni, come slanci istintuali ingovernati, invece delle passioni, che potrebbero ri-unire gli animi su obiettivi di qualità; la rincorsa alla visibilità a  tutti i costi, con il primato delle emozioni esternate e drammatizzate senza pudore e senza pensiero; l’incessante attività comunicativa, con messaggi monotoni e impoveriti, e l’incultura a crescita esponenziale. Tutto nero? No, anche se le derive sono molte e sconfortanti.
In positivo, quale strategia hanno messo in atto le famiglie di fronte ad un euro che ha eroso drammaticamente il potere reale di acquisto di chi ha redditi fissi? Dopo il lamento del primo anno, le famiglie italiane hanno perseguito di fatto una buona strategia differenziata di spesa: a) gestire i volumi di consumo ordinario con acquisizioni a basso costo; b) concentrare quel che avanza nell’acquisto di beni durevoli; c) dedicare quello che rimane, se rimane, allo sfizio gastronomico (possibilmente biologico) o turistico, e perfino culturale.
E quali sono le minoranze che possono aiutare questo contraddittorio Paese a non arrendersi alla deriva del peggio? Scrive bene De Rita, dati alla mano: sono la minoranza che fa ricerca scientifica e innovazione tecnica; che fa avventura personale (nel senso di attuare progetti professionali o imprenditoriali) e sviluppa relazioni internazionali; che cerca la qualità della vita, non solo personale, nelle realtà locali e cerca di promuoverla; che vive il rapporto con l’immigrazione in termini di evoluzione, di cammino verso l’integrazione e la coesione sociale; che crede nell’esperienza religiosa attenta non solo alla persona ma alla coralità delle relazioni umane. Sono le minoranze che hanno scelto di aderire a strutture collettive (di volontariato, fondazioni, associazioni, movimenti) come nuova forma di coesione sociale e di ricerca di senso della vita. Aggiungo: è la minoranza che fa politica, soprattutto a livello locale, credendoci e impegnandosi davvero.
Sono queste minoranze che possono “sprigionare le energie necessarie per uscire dallo stallo odierno”. Per uscire dalla palude, per contrastare la deriva verso il peggio. Sì, “lo spazio e il tempo sono pieni del possibile”: sta a noi, minoranze vivaci, crederci e impegnarci ancora. Per il gusto di avere senso. E di sentirci profondamente vivi.

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