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Infertilità: dal dramma alla speranza

16/05/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Gentile professoressa, mia moglie Elena sta attraversando uno spaventoso periodo di depressione. Da molti anni cerchiamo di avere un bambino, ma purtroppo siamo tutti e due poco fertili. Ci siamo sottoposti a innumerevoli visite, esami, pareri. Tutti i medici ci hanno sempre incoraggiato, dicevano che il nostro caso non era poi così disperato. Prima abbiamo tentato con l’inseminazione omologa, poi con quattro Fivet, affrontando anche grossi sacrifici economici. Finalmente, proprio all’ultimo tentativo, mia moglie è rimasta incinta: le lascio immaginare la nostra felicità! Ci è sembrato di toccare il cielo con un dito, che un’autentica benedizione avesse finalmente reso la nostra vita più piena e realizzata. Poi, dopo qualche settimana, il disastro che mai a quel punto ci saremmo aspettati: mia moglie ha avuto un aborto spontaneo. Da quel momento è iniziato il vero incubo. Elena ormai odia, disprezza il suo corpo: dice che non vale nulla, che non è riuscito a portare a termine nemmeno la cosa più semplice di questo mondo, la gravidanza. Io continuo a dirle che fare un figlio non è poi così semplice, e che un imprevisto va sempre messo in conto... Ma lei non vuole sentire ragioni: è come se avesse perso l’unico motivo per cui valesse la pena vivere. Si sta lasciando andare. Piange sempre. Mangia pochissimo, tanto che ha perso quasi trenta chili... Di fare l’amore non se ne parla nemmeno, non abbiamo più i bei momenti di intimità di una volta. Solo la rabbia sembra sopravvivere in lei: una rabbia ferina, implacabile, autodistruttiva. Anche io ho sofferto tanto per questo bambino, ma l’enormità del suo dolore mi spaventa, mi disorienta, ho paura che prima o poi le succeda qualcosa di irreparabile. E allora sì che anche per me la vita non avrebbe più alcun senso... Che cosa posso fare per aiutarla?”.
Valerio R.
Gentile signor Valerio, raramente ho ricevuto un messaggio così intenso e così dolente, così capace di dire in poche righe l’immane dolore delle moltissime coppie che inseguono per anni il sogno di un figlio, accumulando solo frustrazioni e fallimenti. Raramente ho avvertito, quasi fisicamente, un odio così intenso come quello che sua moglie nutre verso il proprio corpo. E, al tempo stesso, la preoccupazione, l’angoscia, l’amore che lei esprime nella sua domanda di aiuto.

Perché tutti parlano solo dei trionfi della fecondazione assistita? E perché invece non si parla mai dei fallimenti, della frustrazione, del dolore che provano le coppie che non ce la fanno?

Ha ragione: certi trionfalismi in tema di cure per l’infertilità sono ingannevoli, o perlomeno molto parziali. Perché fanno torto alla complessità del problema, e non dicono abbastanza chiaramente che per moltissime coppie il sogno di avere un figlio resterà un sogno inappagato. Sarebbe doveroso parlare di più del lato oscuro della fecondazione assistita. Dei suoi costi, emotivi, affettivi, esistenziali, personali e di coppia, oltre che economici. Dei suoi risultati reali. Di quanti figli sani, alla fine, premiano questo cammino di fatica e di speranza.

Che cosa posso fare in concreto per aiutare mia moglie?

La situazione che mi descrive è molto seria. Sua moglie rischia di naufragare nel mare tempestoso dei suoi sogni distrutti. Uno dei segnali più preoccupanti è quella perdita drammatica di peso, che oltre un certo limite può portare a conseguenze molto gravi. Elena, però, potrebbe trarre la forza di superare questa crisi proprio dalla rabbia che la sta divorando, e che può invece diventare il motore di un cambiamento prezioso. In questo senso, più che ferina, la definirei una rabbia “sacra”.

Che cosa intende dire?

La rabbia sacra è innanzitutto una rabbia legittima. Ed è un sentimento che, se ben indirizzato, può diventare costruttivo e ridare senso alla nostra vita, attraverso il superamento dei blocchi e delle frustrazioni che l’avevano scatenata. Il dolore di sua moglie, in altre parole, potrebbe diventare il punto di partenza per un’esperienza nuova. Si tratta di incanalare l’energia che ora appare distruttiva verso un obiettivo appagante, possibilmente per entrambi, e che sappia nuovamente dare significato e sapore alla sua esistenza. Attenzione: si tratta di un processo espressivo di talenti emotivi, cognitivi e spirituali, e non di una banale strategia autoconsolatoria che alla fine, in profondità, lascerebbe le cose come stanno. Di conseguenza, come ogni cammino autentico della vita, è lungo e difficile.

Quale potrebbe essere, in concreto, questo nuovo obiettivo per cui tornare a vivere?

Le faccio qualche esempio. Potreste decidere di adottare un bambino. Oppure, con amici e conoscenti, creare un gruppo per adozioni a distanza, magari con il supporto di associazioni come “Medici senza frontiere” o, se siete credenti, di qualche missionario. Se poi il lavoro ve lo permette, ogni anno potreste andare qualche giorno a visitare i “vostri” bambini lontani, dando così non solo un aiuto finanziario, ma anche una mano concreta. Oppure, potreste aiutare altre donne che stanno attraversando o hanno attraversato la frustrazione dell’infertilità e del fallimento delle cure: dando vita, per esempio, a un’associazione di auto-aiuto per le coppie infertili. Le cose da fare sono tante. Prima, però, è indispensabile che sua moglie venga aiutata a superare l’odio autodistruttivo che ora tiene prigionieri il suo corpo e il suo cuore. Come le dicevo, infatti, la ripresa sarà lunga e difficile, e tentare ora di trovare nuovi interessi e nuove ragioni di vita, senza prima rimuovere le macerie fisiche ed emotive che il dolore ha lasciato dietro di sé, non porterebbe ad alcun risultato duraturo.

Che cosa dobbiamo dunque fare, per prima cosa?

Innanzitutto suggerisco di parlare con il vostro medico di fiducia o con uno psichiatra sensibile per concordare una terapia farmacologica che consenta di contrastare i fattori neurobiologici alla base della depressione. In parallelo, vi consiglio di rivolgervi a una psicoterapeuta competente, che possa aiutare sua moglie a ridare senso a se stessa e alla propria vita: Elena deve arrivare a percepirsi nuovamente come una persona che vale, anche senza figli, e ad accettare che nella vita non tutti i nostri progetti vanno a compimento. E deve tornare ad amare il suo corpo, senza il quale non può vivere. Il corpo – che troppo spesso, anche per retaggi culturali, tendiamo a separare dai moti del cuore – contiene ed esprime il nostro destino. Solo allora Elena potrà anche riscoprire la gioia dell’intimità e dell’amore.
In questo faticoso cammino, anche lei può giocare un ruolo prezioso. Non si arrenda alle difficoltà: inizialmente, ci potranno essere fasi in cui Elena farà progressi e poi sembrerà regredire, senza apparente motivo. Saranno quelli i momenti in cui farle sentire che il suo amore è capace di comprensione e di attesa. Perché in fondo solo lei, che condivide con sua moglie il cammino della vita, e ha condiviso questi anni di fatiche e di speranze alla ricerca di un figlio, potrà aiutarla ad accettare che a volte è dalle sconfitte più pesanti che può emergere un senso più intenso dell’esistenza. L’ora più buia è sempre quella prima dell’alba: non dimenticatelo. Auguri, di cuore.

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