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Il valore di un bambino

03/01/2005

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Figli di un dio minore. O, più appropriatamente, figli di nessuno. Sono i milioni di bambini “di strada”, senza una famiglia, senza una casa, spesso nemmeno censiti: il che può sembrare irrilevante, nella tragedia generale di Paesi di fatto poveri, come l’India, se non significasse la totale mancata assunzione di responsabilità dello Stato nei loro confronti. Bambini inesistenti, dal punto di vista civile. Molti di loro sono morti nel disastro causato dallo tsunami. Nessuno saprà mai quanti. Molti altri diverranno come loro, per aver perso ogni familiare nel disastro, o per essere vissuti già ai margini, in catapecchie fatiscenti, in cui l’unica ricchezza era avere almeno un padre o una madre ancora vicini. Il valore di un bambino è immenso. Per noi lo è perfino quello di un animale amato. Lì il valore dell’individuo, più ancora se piccolo, si perde nell’anonimato, nell’assenza di un destino diverso da una faticosa e breve sopravvivenza.
Il disastro che oggi ci commuove e ci turba è solo la punta dell’iceberg di una situazione molto più drammatica, nella sua costanza, nella sua capillarità, nella sua immensa, sembra, ineludibilità. Sulla quale solo lo tsunami ci ha indotto (per quanto?) a posare lo sguardo. Anche nel mio ultimo viaggio in India, Paese che è caro al mio cuore, sono rimasta colpita di quanto poco sia cambiato nell’arco di vent’anni, per esempio negli ospedali ostetrici pubblici, che ho visitato periodicamente negli ultimi due decenni, l’ultima volta poche settimane fa, a Bombay. Ancora venti, trenta donne per camera, con due o tre bambini sotto il letto, perché non sanno a chi lasciarli. Igiene latitante. Medici con camici e atteggiamenti che sono specchio della disperazione sanitaria generale del settore pubblico (il privato è tutt’altra musica, come in tutto il mondo). Studenti in medicina e specializzandi che vivono in costruzioni sporche e fatiscenti, vicino all’ospedale. Le uniche ad avere anche un decoro formale (atteggiamento professionale, divise in ordine, pulite e stirate) e le stanze linde, sono le infermiere capo, che hanno mantenuto - miracolosamente - lo stile e i contenuti delle eccellenti scuole per infermiere britanniche. Il lavoro è immane. In una sala parto possono nascere cinque, sei bambini l’ora, a volte di più. Il personale è massacrato da turni inconcepibili per noi, medici e infermiere sempre a rincorrere l’emergenza. A vent’anni, una donna ha già quattro, cinque bambini. Morire di parto è ancora un rischio reale e quotidiano. Morire di setticemia, pure. Restare orfani, è un destino.
Lo scandalo vero, di cui nessuno parla? Nessun partito osa fare una politica contraccettiva decisa, mi dicono i colleghi ginecologi indiani, per la paura della risposta negativa trasversale delle parti religiose più conservatrici. Risultato? La crescita demografica è spaventosa, la vita media si ferma ai 45 anni, un terzo della popolazione ne ha meno di 15 e l’abbandono dei bambini cresce in proporzione. 125.000 morti, per lo tsunami, sono una catastrofe immane. Ma cosa sono 20 milioni, sì, milioni, di bambini di strada, totalmente abbandonati? Condannati alla morte civile, perché di fatto non hanno un futuro degno del nome? Condannati a morire giovani per la fame, le malattie, le violenze e la mancanza di amore. Molti di più vivono in situazioni comunque di mera sopravvivenza, con tutta la famiglia che vegeta ai bordi della strada o negli immensi slums, di milioni e milioni di persone, alla periferia delle grandi città. Il 75 per cento della popolazione adulta, in India, è analfabeta. E così anche le risorse della parte del Paese che sta producendo beni e opportunità di lavoro non riescono a tradursi in un miglioramento di vita reale per il resto della popolazione. Gli stanziamenti per le armi nucleari, naturalmente, ci sono, e su questi nessun partito locale ha, pare, niente da ridire.
La Cina, tanto criticata quando iniziò la drastica politica sanitaria contraccettiva vent’anni fa, può ora dare un presente e un futuro diverso ai suoi cittadini, e l’enorme potenza di lavoro, di energie creative ed economiche che sta sviluppando, ne è la prova. Certo, ci sono tanti poveri anche lì, nelle parti più interne e isolate, ma la realtà amara dei bambini di strada è pressoché sconosciuta.
Nella tragedia, chissà che una parte delle risorse che si stanno mobilitando per la ricostruzione riesca a beneficare anche i bambini di strada. Per dar loro una casa, un’educazione, un futuro in dignità. Un aiuto che duri oltre l’emozione accorata di questi giorni. E chissà che fra tanti summit strategici, qualcuno sollevi questo problema elementare: non si può far progredire un Paese, con una crescita demografica così vertiginosa, senza una rigorosa pianificazione familiare. Che porti almeno a distanziare le nascite, per dare un futuro a bambini altrimenti, e per sempre, figli di nessuno.
In positivo, il 2005 è iniziato con un flusso di solidarietà internazionale che non ha precedenti dalla fine della seconda guerra mondiale. L’augurio è che questa ondata di consapevolezza duri oltre il ritorno a casa dei connazionali intrappolati dallo tsunami e dal destino. E ci porti ad essere generosi a lungo, rompendo il muro dell’egoismo che chiude le nostre comunque piccole vite.
Dice un proverbio indiano: "Ciò che non viene donato, va perduto". 

Bambini Culture e società Povertà Riflessioni di vita

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