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Il dono degli dei: sorprese attese e inattese

09/05/2011

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

«Gli dei ci creano tante sorprese: l’atteso non si compie, e all’inatteso un dio apre la via». Questo sosteneva nelle Baccanti Euripide, poeta tragico greco, vissuto circa 2500 anni fa. Con la grande saggezza e intuizione antica, Euripide coglie una dimensione sostanziale dell’esistenza. Entrambe le dimensioni della sorpresa richiedono grande flessibilità, duttilità, adattabilità: sono un test di capacità di adattamento alla vita e, alla fine, di successo. Se per successo intendiamo la capacità di lasciar andare cose, progetti, amori che, pur desideratissimi, non si compiono, senza cristallizzarsi nel rimpianto di ciò che non si è avuto/ottenuto, e la capacità in parallelo di saper cogliere quelle opportunità, quegli incontri, quei momenti magici che a volte possono cambiare in meglio la vita, portandola a una maggiore pienezza e soddisfazione, magari su dimensioni all’inizio impensate.
In un certo senso, la capacità di adattarsi alle sorprese, degli dei o della vita, è quello che alcuni amici ebrei americani definiscono “survival skills”, abilità che aiutano a sopravvivere. E vivere. In senso fisico, ed è un vero sopravvivere a guerre, deportazioni, carestie, abusi e tradimenti di ogni tipo, e in senso affettivo, professionale, morale, esistenziale. L’“atteso che non si compie” è il nucleo duro della depressione, che può essere scatenata dai più vari eventi, il cui denominatore comune è la perdita, un vero e proprio lutto, di ciò che più era atteso, appunto, e perciò desiderato. Quando non si è capaci di andare oltre la perdita, per quanto questo sia duro, difficile, faticoso e doloroso, si disperdono tonnellate di energia vitale nel rimpianto, fino a cristallizzarsi in un disperante e nichilistico: «se non fossi stato bocciato; se lei /lui non mi avesse lasciato; se non lo avessi sposato/a; se non avessi avuto un capo così distruttivo; se non mi avesse tradito/a; se non...». Tutti abbiamo una lista più o meno sconfortante di cose, progetti, sogni irrealizzati e irrealizzabili: vive meglio chi fa dell’atteso un sogno negoziabile, un obiettivo fungibile, un’aspettativa che, se pur fortissima, può essere riconsiderata e perfino abbandonata, senza ulteriori rimpianti.
Di converso, ed è un aspetto ancora più affascinante, i grandi destini si giocano spesso sulla capacità di cogliere proprio l’inatteso. Dove contano le qualità personali e l’impegno, sì, ma anche la capacità di riconoscere i fatti, l’incontro, l’evento che possono cambiare la propria vita, se non quella di un popolo. Diceva Cicerone: «Duce virtute, comite fortuna» (con la virtù come guida, e la fortuna come compagna), sintetizzando questo binomio formidabile tra elevate qualità personali e i momenti speciali che possono cambiare un destino. Dove la fortuna (inattesa) va presa mentre ci viene incontro: non a caso, nell’iconografia medioevale, la dea Fortuna era rappresentata come una donna con folti capelli nella parte anteriore del capo, ma calva dietro. Il detto “prendere la fortuna per i capelli” ha questo significato: riconoscerla e prenderla mentre ci viene incontro, vis-à-vis, perché un attimo dopo potrebbe essere troppo tardi.
Di questi momenti sospesi tra atteso e inatteso, che cambiano vite e destini, racconta Stefan Zweig in “Momenti fatali” (Adelphi). Quattordici miniature storiche, una bella e colta lettura per cambiare orizzonti. Vi descrive quei momenti rari, «ore stellari» in cui maturano decisioni che trascendono la contingenza e che, «fulgide e immutabili come le stelle, risplendono sopra la notte dell’umana caducità», illuminando Georg Friedrich Händel che compone il suo Messiah senza mangiare né dormire, o l’oscuro Rouget de Lisle che esce dall’anonimato per eternarsi con La Marsigliese, Fedor Dostoevskij salvato all’ultimo momento dalla fucilazione, o Lev Tolstoj in fuga da Jasnaja Poljana verso la libertà. Tuttavia Zweig, da intuitivo poeta, coglie nei suoi racconti il doppio volto dell’inatteso: che può portarci in paradiso, o alle vette della realizzazione, o all’inferno, nel baratro della delusione e del disastro, perché il dio che apre le porte all’inatteso può essere (anche) insuperabilmente maligno. La caduta di Costantinopoli insegna. Dunque duttili sì, per cogliere le potenzialità espressive dell’inatteso, ma anche prudenti e lucidi, per riuscire a riconoscerne le possibili, seducenti mortifere insidie.
Pur senza momenti fatali, è saggio chiedersi, di tanto in tanto, se sappiamo mantenere la flessibilità interiore necessaria per saper perdere ciò che non si compie, e restare aperti, anche a 80 anni, all’inatteso che può ancora illuminare la vita. Alle sorprese, piccole e grandi, che dovrebbero farci dire, come Alice nel Paese delle Meraviglie: «Chissà che cosa mi succederà di bello oggi...». Forse non sarà un inatteso rivoluzionario, ma i giorni ricchi di minute sorprese apprezzate e assaporate, alla fine, fanno una vita luminosa, con tante piccole stelle a illuminare con grazia le notti e i sogni.

Autorealizzazione Coraggio di vivere Depressione Riflessioni di vita

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