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Il dolore nelle donne: la scandalosa indifferenza

20/02/2017

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Un uomo e una donna, più o meno della stessa età, sono ricoverati in camere separate. Entrambi hanno ricevuto un bypass al cuore ed entrambi hanno dolore. Quanto dolore, naturalmente, è difficile da definire, dal momento che il dolore è invisibile e soggettivo. Applicando la scala da 1 a 10, la donna dà al suo dolore un valore di 8, lo descrive in dettaglio: è profondo e bruciante, e più intenso di notte. Dall’altra parte l’uomo giace: soffrendo in silenzio, quando pressato, dice all’infermiera che il suo dolore è forse 4. La domanda a questo punto è: “Chi riceverà più morfina?”. Studi effettuati per rispondere a questa domanda hanno dimostrato che dopo la chirurgia gli uomini chiedono e ricevono più morfina per sedare il loro dolore delle donne. E’ vero che molti pazienti con dolore sono sotto-trattati per il loro dolore, ma le donne sono, se possibile, ancor più dimenticate».
Questo sostiene Marny Jackson, una ricercatrice che ha dedicato la sua vita alle differenze di genere nel dolore. Alcuni studi hanno dimostrato che nel controllo del dolore post-operatorio gli uomini consumano 2,5 volte più oppioidi rispetto alle donne: il che significa che agli uomini vengono prescritti molto di più, anche se le donne riportano percezioni del dolore più severe. Il problema persiste e inquieta: perché questa scandalosa indifferenza, a tutti i livelli di diagnosi e terapia? Per esempio: l’angina pectoris è molto più frequente nelle donne, che però vengono ricoverate 6,7 volte meno degli uomini, con gravi conseguenze non solo in termini di dolore, ma anche di diagnosi più tardive, cure inadeguate, maggior rischio di danni miocardici più seri, nonché di morte.
Fra donne e uomini, ci si è resi conto che in molti tipi di dolore cronico le donne denunciavano livelli di dolore più severi, più frequenti e di maggiore durata degli uomini (emicrania, cefalea muscolotensiva, dolore faciale, dolore muscoloscheletrico e osteoarticolare, fibromialgia). Molte malattie che causano dolore sono nettamente più frequenti nelle donne: la fibromialgia è 6 volte più frequente nelle donne, la cefalea tensiva cronica 4 volte di più, il lupus eritematoso sistemico 9 volte di più, l’artrite artrite reumatoide 2,5 volte, l’artrosi 3 volte di più dopo la menopausa, il dolore temporomandibolare è da 2 a 9 volte di più, così come la sindrome dell’intestino irritabile. Molte patologie dolorose si esacerbano in coincidenza del ciclo (cefalea, sindrome dell’intestino irritabile, dolore pelvico cronico, dolore da endometriosi, sindrome della vescica dolorosa, vulvodinia, fibromialgia), con ritardi diagnostici deleteri: basti dire che l’endometriosi, causa di dolore mestruale invalidante e di dolore pelvico cronico, in media è diagnosticata correttamente nove (!) anni dopo l’inizio dei sintomi. Ecco dunque il paradosso: le donne hanno più sindromi dolorose e più malattie che causano dolore, ma ricevono molta meno attenzione diagnostica e terapeutica.
Perché le donne sono più sensibili al dolore? La loro maggiore sensibilità e attenzione al dolore potrebbero essere intesi come un meccanismo autoprotettivo che contribuisce al mantenimento della loro salute. In effetti, il primo approccio verso la soluzione di un problema è quello di riconoscerlo, e le donne sembra che riconoscano il problema “dolore” più precocemente. Rispondere prima al dolore non è allora una debolezza, ma una forza adattativa. Questa forza le porta ad avere forse più attenzioni personali per ridurre il dolore, ma ricevono meno cure e quindi devono sopportare più dolore e convivere con il dolore più a lungo, ancor più con il crescere dell’età. E perché ricevono meno attenzione e meno cure? Per un’indifferenza millenaria, perché siamo state storicamente percepite “di minor valore” (se non quando gravide: altrimenti perché si parlava di “stato interessante”?), perché al dolore femminile è stata ed è ancora data una valenza “psicogena”, quasi di sintomo inventato.
E’ necessario un cambiamento sostanziale: nella famiglia, perché il dolore venga riconosciuto, diagnosticato e curato, a cominciare dal dolore mestruale e dai disturbi ad esso associati; nel sistema sanitario e in noi medici, in primis, perché il dolore riceva giusta e tempestiva attenzione, con diagnosi accurate e rigorose e terapie attente alle sue diverse componenti, periferiche, centrali, infiammatorie, acute, croniche e anche neuropatiche.
Il dolore cronico è il grande tormento della vita: è una responsabilità non solo clinica, ma anche etica, considerarlo con immediata e rispettosa attenzione, e con equilibrio di sguardo nei confronti delle donne così come facciamo per gli uomini. Di dolore trascurato si può morire, nello spirito e nell’anima, prima ancora che nel corpo.

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