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Il dolore dei figli

27/06/2011

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

«Ho due figli gemelli, Francesco e Andrea. Hanno 15 anni. Sono sempre stati due ragazzi d’oro. Affettuosi, bravi a scuola e nello sport. Mai un pensiero. L’anno scorso, avevo 42 anni, mi è stato diagnosticato un tumore al seno piuttosto aggressivo. E’ stato uno shock per tutti, non solo per me. C’è stata un’onda di panico e angoscia in tutta la famiglia. Se tu sei angosciata, i ragazzi lo respirano, anche se cerchi di controllarti. E poi le cure, tante, pesanti. Chirurgia, radioterapia, chemioterapia, terapia ormonale. Ho avuto un cortocircuito: sia sul fronte fisico, perché mi sono trovata tutti i sintomi di una menopausa precoce che non potevo curare con ormoni, sia sul fronte emotivo. Il peggio è stato lì».
La signora è coraggiosa. Dopo il primo shock, affronta tutto con grinta, aiutata da un marito presente e affettuoso e dalla tenerezza sollecita di Francesco. Andrea (che è il suo preferito, ma lei non lo ammette neanche con se stessa) ha invece una risposta del tutto diversa. Si allontana, diventa scontroso, sgarbato, perfino aggressivo. Si chiude in sé, sta in camera, non parla. Il profitto scolastico crolla. Non c’è verso di parlargli, non vuole psicologi, è un muro impenetrabile.
«Il comportamento di mio figlio mi ha ferita a fondo, più del tumore. E’ come scoprire di avere uno sconosciuto al posto del figlio che amavi con tenerezza assoluta. E’ una scoperta che ti disorienta. Ti chiedi dove hai sbagliato, che cosa sia successo. Ti tormenti e non trovi risposte. Il giorno del mio compleanno, Francesco è arrivato con i fiori e un libro. Mio marito con un biglietto per un viaggio noi due. Andrea, una sfinge, neanche una parola, come se fossi già morta...».
Il comportamento di Andrea è un caso isolato? No. La malattia grave di una donna colpisce tutta la famiglia. Che sia un tumore, un incidente serio, una malattia neurologica, nessuno in famiglia è esente dal contraccolpo emotivo. Purtroppo, anche nel caso del tumore al seno, ci si preoccupa più o solo dei vissuti della donna. In questi anni è cresciuta la solidarietà: le associazioni di donne operate al seno sono preziose e certamente hanno consentito un aiuto competente prima impensabile. Gli ospedali forniscono un aiuto psicologico; molti medici (non tutti, purtroppo) sono diventati più attenti e sensibili. Tutto questo è importante. Tuttavia, restano due aree di vulnerabilità ancora poco conosciute e sostenute: i mariti/compagni e i figli, con forti conseguenze sulla coppia e sulla famiglia. Basti dire che dopo la diagnosi di tumore al seno si separa il 25% delle coppie in Italia (23% in USA), contro il 7% di separazioni se è lui ad avere un tumore. E i figli? Succede spesso di ritrovare, anni dopo, le cicatrici emotive della malattia della mamma, ferite dell’anima cui nessuno aveva dato attenzione.
Mi ricordo una giovane donna, la cui vita emotiva era cristallizzata, bloccata ai suoi 4 anni: quando la mamma era malata di tumore e allora, in quell’ospedale, i bambini piccoli non potevano entrare. «Così io restavo in giardino, a guardare la mamma che mi faceva ciao da lontano, dalla finestra. Mia mamma era sempre più pallida e magra. Non è più tornata. “E’ andata in cielo”, mi diceva la nonna con cui poi sono cresciuta. Ma io pensavo: non dev’essere un bel posto, se piange tanto anche lei. Ero tanto arrabbiata, tantissimo, con mia mamma. Perché era andata via senza più abbracciarmi, senza dirmi niente. Ero piccola, eppure pensavo: forse è andata via perché sono stata cattiva e l’ho fatta scappare. Altre volte mi dicevo: forse è andata via perché non mi voleva più bene. Quell’assenza, negli anni, è diventata sempre più dolorosa. La mia vita, adesso, è solo nostalgia...».
Lontananze, separazioni, angosce: le spiegazioni sono incomplete, spesso menzognere o inadeguate all’età e alla capacità di comprensione dei piccoli. Nessuno ci insegna a saper spiegare, a cosa dire e come dirlo. A come trasmettere fiducia, dove c’è angoscia. E a come aiutare ad accettare la malattia e la morte. E ad aiutare i padri, nel farlo. Nel cuore dei bambini, ma anche degli adolescenti, si apre una ferita profonda: la lontananza della mamma, per i ricoveri e le terapie, l’ansia e la tristezza che le si leggono sul volto e nel respiro, lasciano i bambini inquieti, a volte atterriti. Non parlano, non riescono a chiedere: somatizzano, a volte si ammalano, anche seriamente. Più spesso il dolore viene incistato e diventa un dolore sordo, che può bloccare la futura capacità di amare, per paura di restare di nuovo soli.
E’ indispensabile parlare con i bambini, con parole adeguate, rassicurandoli sul fatto che ci si può ammalare ma l’amore resta grande, e che loro non hanno nessuna colpa, se la mamma sta male. Attenzione, invece, alle frasi minacciose, colpevolizzanti, anche dette in un momento di rabbia o sconforto, perché confermano il bambino in un pensiero di responsabilità nei confronti della malattia e, ancor peggio, della morte, se mai dovesse avvenire.
Racconta la mamma di Andrea: «La sera del compleanno, col cuore a pezzi, dopo aver tanto atteso una parola da mio figlio, ho deciso di andare a letto. Era tanto tardi. Sul cuscino ho trovato un biglietto, il primo dopo tanto tempo: “I dolori piccoli fanno parlare. I dolori grandi lasciano muti”».

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