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Il cuore e le mani degli uomini

04/09/2017

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

La foto più intensa dell’estate? Quella che ci dà più emozioni e motivi di riflessione? Scelgo lo scatto che ritrae i soccorritori ad Ischia mentre estraggono dalle macerie il piccolo Pasquale di pochi mesi, dopo tante ore a scavare con le mani, con gesti accorti, attenti e preoccupati. Cercare di estrarre vivi e integri tre bambini (solo Ciro, 11 anni, ha avuto un piede fratturato) è un compito da far tremare le vene ai polsi a qualsiasi soccorritore. Delicato il lavoro, alto il rischio che un evento imprevisto – un’altra scossa, uno spostamento di macerie in assestamento – possa uccidere la speranza con un’altra tragedia. Parlano a tutti noi quelle mani tese a proteggere, ad accompagnare, a vegliare col fiato sospeso, con timore, sorpresa e inquietudine. «Pasqualino è vivo!» si dicono i soccorritori. «Ma come sta dopo sette ore là sotto, da solo? Piano, piano, piano», e le voci sono carezze.
Pasquale che è nato due volte, anzi è risorto dalle macerie, grazie al cuore, alle mani, alla tenacia e alla dedizione dei soccorritori, non poteva avere nome più giusto (“nomen omen”, dicevano i Latini, “un nome, un destino”, ma anche un augurio). Altri uomini con la loro avidità e complicità hanno costruito case di cartapesta, che crollano, feriscono e uccidono. Questi uomini che hanno scavato per ore mostrano invece in quella foto magnifica e intensa (“come un quadro di Caravaggio”), una capacità di lavoro duro e competente, di cura e tenerezza, di vera sollecitudine, che sono un esempio e un monito. Esiste una parte sana d’Italia che trova nel soccorrere una motivazione esistenziale e una soddisfazione ancora più motivante, quando il corpo estratto è vivo.
Chi sono i soccorritori? Uomini normali, che tuttavia hanno scelto di esprimere il meglio di sé in una missione preziosa e rischiosa. Uomini da cui prendere esempio e che ci aiutano a bilanciare il giudizio su un mondo maschile che troppo spesso occupa le cronache quando mostra il peggio di sé. Come i tanti che in tutta Italia speculano su costruzioni e ricostruzioni con finzioni di case e di scuole che sono solo un alibi per rubare più denaro. Come i quattro del branco che ha devastato l’intimità e la vita dei due giovani polacchi in vacanza in questi giorni a Rimini, violentando lei e lasciando tramortito di botte lui. O gli assassini di donne che ogni giorno ci ricordano la fragilità della vita quando si entra nel vortice distruttivo di un uomo che ha assecondato senza incertezze i propri istinti assassini.
Uomini che nella necessità sanno compattare le proprie energie migliori. E’ possibile esprimere questa vocazione all’aiuto anche nella vita quotidiana, e non solo nell’eccezionalità di eventi drammatici? Mi piace pensare che ci sia un soccorritore buono dentro (quasi) ognuno di noi. Un soccorritore addormentato, non allenato, demotivato. O ancora in potenza, come sicuramente c’è in moltissimi bambini. Perché non risvegliare, motivare e allenare il soccorritore che è dentro di noi? E’ la nostra parte migliore. Non conosce differenze di razza, cultura o censo. Il soccorso si può declinare poi in molti modi, a seconda dell’età, della sensibilità, delle vocazioni e della storia personale. Si può soccorrere chi nella vita è stato molto più sfortunato di noi: nella malattia, nel luogo di nascita, oppure nel destino, che costringe migliaia di persone a fuggire dalla fame e dalla disperazione. Si può soccorrere una persona in difficoltà: ascoltando di più, sorridendo con uno sguardo attento e dolce, dicendo una parola gentile che conforti. Si possono soccorrere gli animali abbandonati (si stima 50.000 cani solo quest’estate, e ancora più gatti). Si può soccorrere la terra in cui viviamo, rispettandola e amandola di più.
Non si tratta di fare o essere eroi. Si tratta di scegliere di essere e far vivere la parte migliore o peggiore di noi. Che esiste anche in eventi eccezionali quando vediamo sciacalli umani che rubano quello che resta dentro le case devastate. O i “volontari” delle squadre anti-incendio che appiccano loro stessi il fuoco che andranno poi a tentare di spegnere, al prezzo di infinite devastazioni di animali, di alberi, di bellezza e di vita. I soccorritori sono una minoranza? Sì. La sfida è di educare a far sbocciare la parte migliore di sé già nei nostri bambini. Farei vedere e commentare quella foto in tutte le nostre scuole, come spunto condiviso di riflessione. Raccontando la storia vera dei tre piccoli salvati, in cui tutti i bambini si possono riconoscere per capire di più. E sentire col cuore che salvare dà senso, gioia e intensità nel vivere. Con un sorriso, con una mano che carezza e cura, con un cuore grande possiamo tutti soccorrere chi è in difficoltà, la vita e la nostra stessa terra.

Autorealizzazione Riflessioni di vita Volontariato

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