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Il bambino e il suicidio: una tragedia senza risposta

11/02/2018

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Perdere un figlio per malattia è uno strazio che può durare mesi o anni. In quei giorni di sofferenza, di speranza e delusioni i genitori possono colmare il piccolo di ogni più amorosa cura per alleviarne il dolore: così facendo, con la loro presenza attenta e tenera, con abbracci e carezze, possono non solo confortare il piccolo ma dare un senso al loro stesso soffrire e alla separazione definitiva, quando le cure non danno più risposte di vita.
Perderlo d’improvviso, per un incidente, causa nella famiglia una lacerazione violenta e profonda.
Perderlo per suicidio, e ancora bambino, è una tragedia inimmaginabile che lascia senza fiato.
E’ con pudore, con rispetto profondo e in punta di piedi che bisogna accostarsi al mistero di una morte improvvisa e impensabile, come quella del bambino di otto anni, figlio di una coppia pakistana, che nel Bresciano si è tolto la vita impiccandosi con una sciarpa legata alla testiera del letto, dopo un rimprovero dei genitori «perché non voleva tornare a scuola dopo la pausa pranzo». Se ci immedesimiamo un minuto con i sentimenti di questi ultimi, non possiamo che restare in commosso silenzio.
Tuttavia, il recente ripetersi di gesti autolesivi di diversa gravità in bambini anche molto piccoli ci induce a interrogarci per capire e, se possibile, prevenire altre tragedie.
Che cosa può portare un piccino a fare un gesto così straziante e definitivo? E’ possibile che il piccolo abbia agito d’impulso, non sapendo e non potendo valutare le conseguenze del suo gesto, proprio perché bambino. E perché abituato dal mondo dei cartoon a vedere così frequenti morti e resurrezioni, oppure incidenti e ritorni in azione, da non distinguere tra mondo reale e mondo virtuale. Abituato a vedere/pensare che tutto è finzione e gioco, potrebbe aver pensato in un secondo che anche un gesto grave è solo dimostrativo e può risolversi in un abbraccio e in un perdono. L’impulsività è un tratto caratteristico dei piccoli, che sono dominati dalle emozioni. Un’emozione intensa, come la collera e la rabbia per essere stati rimproverati, possono indurre a risposte di ribellione, con urli e pianti; a risposte di fuga, nascondendosi in un posto della casa sentito come “tana”; e solo rarissimamente a risposte autodistruttive senza ritorno, come è successo a questo sfortunato bambino e ai suoi disperati genitori. Solo con la progressiva maturità i bambini imparano a distinguere il mondo virtuale da quello reale, a capire che l’impulsività va governata, a comprendere che ogni azione ha conseguenze, non sempre riparabili e reversibili; a capire che un gesto impulsivo mal valutato può avere conseguenze definitive e senza ritorno. E’ probabile quindi che il piccolo abbia pensato a un gesto solo dimostrativo: «Tanto poi la mamma mi trova, si spaventa e così non mi sgrida più!». Un gesto che purtroppo è andato ben oltre il suo pensiero.
E’ possibile che quel rimprovero «perché il bambino non voleva ritornare a scuola» abbia creato un conflitto senza uscita. Conflitto possibile se il piccolo avesse temuto, rientrando, di confrontarsi con aggressività o bullismi di cui non aveva fatto parola ad alcuno e tanto meno ai genitori. Non sentendosi protetto, potrebbe di nuovo aver scelto una via di fuga, in realtà senza ritorno.
E’ possibile che da bambino bravo a scuola, dolce e rispettoso, avesse interiorizzato un ideale dell’Io da “bambino perfetto”, con difficoltà a reggere note negative, rimproveri o sgridate. Come se anche la minima osservazione potesse scatenare un sentimento di vergogna inaccettabile, e distruggere la sua fragile autostima.
La verità non la sapremo mai. I suoi disperati genitori resteranno senza risposte per il resto della vita, devastati dai sensi di colpa.
Possiamo prevenire queste tragedie? Possiamo cogliere i segnali minimi che indicano una particolare vulnerabilità e sofferenza, ma anche un’impulsività dai contorni inquietanti? Forse tutti dobbiamo riconsiderare i rischi di un pensiero immaginario collocato più sul virtuale che sul reale, fin dalla primissima infanzia. Comprendere quanto il mondo visivo dei cartoon può influenzare i cervelli infantili fino al punto da far perdere il principio di realtà. Dobbiamo rieducare i figli ad accettare e comprendere fin da piccolissimi il senso di un rimprovero come costruttivo, per migliorarsi, e non come negazione di valore o di amore. Dobbiamo evitare di gonfiare l’Io di questi piccoli con complimenti continui, fino a renderli incapaci di accogliere la benché minima osservazione ben meritata. Anche perché l’impulsività di un bambino e di un adolescente, esasperata dal mondo virtuale, può essere oggi più autodistruttiva di ieri.
Cosa direbbe questo bambino così sensibile, se ora vedesse lo strazio dei suo genitori? «Scusa mamma, scusa papà, non avevo capito che non potevo tornare indietro. Mi dispiace vedervi piangere così. Mi dispiace tanto non potervi dire: non lo faccio più». Credo lo direbbe di tutto cuore.

Bambini Educazione Genitori e figli Riflessioni di vita Suicidio

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