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Identità femminile: origine e disturbi

13/09/2016

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

“La figlia di mia cugina ha 10 anni. E’ molto vivace e intelligente, piena di energia, un po’ un maschiaccio, come si diceva una volta. La mia amica mi ha confidato che adesso la piccola ha un’idea fissa. Vuole diventare un maschio! Perché non è contenta di essere una bimba? Come comportarsi? Che futuro l’aspetta?”.
Giuseppina D. (Bari)
La sua domanda è molto delicata, gentile signora. Il percorso del diventare donna, certo per millenni, è oggi vulnerabile a inquietudini e problemi. I radicali cambiamenti sociali in corso nelle società ad alto reddito, la perdita del ruolo della famiglia come formatore primario dell’identità e il ruolo dei media hanno aumentato i passaggi critici. Con il risultato che l’identità sessuale (Box 1), quel sentimento soddisfatto di sé che porta a dire «Sono felice di essere una donna», oppure «Sono felice di essere un uomo», è oggi molto più incerta. A volte è un’identità sessuale sofferta, con disagi profondi (“disforie di genere”) che possono arrivare a far dire: «Sono un uomo intrappolato nel corpo di una donna», nel caso del transessualismo da Femmina a Maschio, oppure: «Sono una donna intrappolata in un corpo d’uomo», nel transessualismo Maschio verso Femmina.

Box 1. Identità sessuale

L’identità sessuale, ossia il sentimento di appartenere o meno al proprio sesso biologico, ha tre componenti principali:
- l’identità sessuale di genere, il “sentirsi maschio” o “sentirsi femmina”, coerente o meno con il sesso biologico da cui dipende l’attribuzione del sesso anagrafico alla nascita: «E’ un bel maschietto», oppure «E’ una bella femminuccia»;
- l’identità di ruolo, quello che una persona fa o dice, anche nella scelta della professione, coerentemente o meno con il sesso biologico. Una donna può essere molto femminile e soddisfatta di essere una donna, ma scegliere di fare il poliziotto, ossia di avere un ruolo maschile. E viceversa;
- l’identità di orientamento sessuale che può essere omosessuale o eterosessuale, oppure bisessuale; o ancora indifferenziata («Non mi interessa se è maschio o femmina, mi interessa la persona»).

Le ragioni del corpo

Il sesso biologico dei figli è deciso anzitutto dai cromosomi, che nella nostra specie sono 46. Di questi, 22 codificano organi e salute, mentre la 23a coppia, definita dei cromosomi sessuali, è quella critica per determinare il sesso biologico: XX per nascere femmina, XY, per nascere maschio. Sorpresa: subito dopo il concepimento, il programma base di sviluppo dell’embrione è femmina. Se manca un cromosoma della coppia sessuale, X0, e quindi l’embrione ne ha 45, il feto nasce femmina, ma sterile. Il programma di base è dunque femminile (dei fattori necessari perché nasca un maschietto che poi diventi un uomo soddisfatto di sé parliamo nel prossimo numero). E’ questa la ragione per cui i disturbi dell’identità sono rari nelle femmine, e tuttavia possibili, come dimostra la piccola di cui ci parla, e più diffusi tra i maschi. Il programma di base, seppur femminile, può essere a volte perturbato da fattori biologici che possono aver in parte “mascolinizzato” il cervello della bimba già durante la vita fetale o dopo:
- un eccesso di ormoni maschili da stress della madre, durante la gravidanza;
- una disfunzione del surrene materno o della piccola stessa;
- farmaci somministrati in gravidanza.
Questa maggiore permeazione del cervello della bimba da parte di ormoni maschili può renderla poi più sensibile a fattori psicologici disturbanti per la sua identità.

Le ragioni del cuore

Perché una bambina può desiderare di essere un maschietto e diventare un uomo? Le motivazioni psicosessuali possono essere suddivise in due categorie principali: difensive ed espressive.
Motivazioni difensive, di fuga dalla femminilità. Si hanno:
- quando è mancata un’identificazione positiva e affettuosa con la mamma, quando il rapporto con lei è stato inadeguato, perché è stata sentita come distante, negativa, aggressiva, rifiutante. La bambina normalmente “imita” la mamma, o un suo sostituto stabile, in genere la nonna, e si “complementa” con il papà. Se questo rapporto con la mamma manca, e ha un papà che ama molto, l’identificazione può avvenire con lui. “Troppo poca mamma, troppo papà” (“Too much father, too little mother”) è la lettura clinica di queste perturbazioni precoci dei riferimenti familiari;
- quando l’essere femmina è percepito come perdente, repressivo, restrittivo, in contesti e culture che ancora considerano l’essere donna un minor valore;
- quando le delusioni sulla femminilità sono pesanti («Una bambina non deve comportarsi così») e quando vengono repressi talenti vivaci per attività invece consentite ai maschi;
- quando la bambina si è sentita una preda sessuale. Un “volevo i pantaloni”, vissuto quindi come difesa da una femminilità sentita come causa di vulnerabilità, di negazione di sé, di abuso.
Motivazioni espressive, di caratteristiche psicosessuali ed emozionale di tipo maschile, le cui cause biologiche non sono ancora state ben identificate.
Tra i fattori precipitanti, va sottolineato oggi il ruolo dei media, per cui ho coniato il termine di transessualismo “mediagenico”. Sui media, la visibilità crescente di persone che hanno cambiato sesso con successo può indurre una bambina in difficoltà e confusa a credere che il suo sogno possa realizzarsi facilmente. La crisi di identità può esplodere alla pubertà, quando la comparsa del seno, di forme femminili e della mestruazione “forza” la bambina che si sente un maschio a uscire dall’illusione di poter essere quello che ha in mente, per rendersi conto della forza del corpo e delle sue ragioni. Non ultimo, lutti, come la morte della persona di riferimento più amata, il papà o un nonno, e crisi personali possono definitivamente precipitare la crisi di identità sul fronte psicologico. L’importante è che la bambina non si senta sola, ma amata, compresa e aiutata a scegliere con calma il meglio per la sua vita, anche ritardando la pubertà (Box 2).

Box 2. Come comportarsi?

- Evitare le etichette con diagnosi definitive di disturbo dell’identità, data la grande plasticità psichica e del comportamento dei piccoli
- Offrire un sostegno psicologico qualificato, al piccolo/a e alla famiglia, per aiutarlo se possibile a sentirsi meglio all’interno del sesso di appartenenza, senza banalizzare il problema o, peggio, deridere
- Ritardare la pubertà, con opportuni farmaci, che già usiamo in sicurezza nelle pubertà precoci, se invece emerge con chiarezza un orientamento transessuale. Questo è fondamentale sia per far crescere in altezza la piccola, sia per aiutarla a maturare una propria decisione prima che i cambiamenti fisici creati dagli ormoni rendano tutto il percorso molto più complicato

Genetica e fattori genetici Identità sessuale / Disturbi dell'identità Transessualismo mediagenico

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