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I colpevoli complici dell'esercito delle formiche

I colpevoli complici dell'esercito delle formiche
19/11/2018

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Come ci siete arrivate fino a lì?». Un esercito di formiche non arriva in un secondo su un letto di ospedale. E non ci arriva per la seconda volta in un anno, seppure in un ospedale diverso, ma sempre nella stessa città. Napoli sa unire eccellenze straordinarie, anche in campo medico – come in alcuni Dipartimenti di Oncologia dell’Istituto Tumori Pascale – ad abissi di negligenza, di incuria, di spregio del diritto di cura, a partire dai suoi fondamentali: la pulizia delle stanze per i degenti.
La prospettiva delle formiche può dire molto sulle crepe della sanità pubblica. E non solo a Napoli. Rivelano le formiche: «Noi non ci muoviamo a caso. Come tutti gli eserciti, abbiamo pattuglie selezionate di esploratrici che partono in avanscoperta e riportano al quartier generale anzitutto dove c’è cibo. Come arrivarci, con i passaggi più sicuri e più rapidi. Poi, dove si può creare un’altra colonia. Le formiche dei corpi scelti, geneticamente specializzate da millenni, hanno sensori che riconoscono sostanze a distanze impensabili per gli umani. Arrivano sul posto molti giorni prima che si muovano i nostri reggimenti. Gli ospedali vecchi e mal curati sono il nostro territorio di conquista preferito. Lei ha mai guardato i muri e i pavimenti dell’Ospedale San Giovanni Bosco? Sono pieni di crepe, perfette per noi. Per spostarci, per nasconderci, per creare nuove colonie. Quando, ogni tanto, arriva una scopa, basta calarsi rapide in una crepa e, oplà, la sopravvivenza è garantita. La scopa passa sopra la crepa. Noi, imboscate lì sotto, sappiamo aspettare. E uscire subito dopo per continuare il nostro lavoro. Diversamente dagli umani, noi siamo strutturate per lavorare. Abbiamo un fortissimo senso del dovere e della gerarchia. E svolgiamo il nostro compito con la massima diligenza».
«Ma in quella stanza della signora cingalese intubata, come ci siete arrivate?».
«Non sia ingenua: non siamo arrivate solo in “quella” stanza. Ci sono milioni di formiche sotto i pavimenti del San Giovanni Bosco, come in molti altri ospedali. Una rete immensa di cunicoli, di autostrade, di centri di smistamento. Sono decenni che non fanno manutenzione seria e noi prosperiamo. Mica solo noi, per la verità. E i topi? E le cimici? E i ragni? E le zanzare? E le mosche? Lei non ne ha idea».
«Nessuno aveva visto le esploratrici?».
«Via, ma lei crede che tutti quelli che lavorano in ospedale guardino? Che vedano? Che si chiedano: se ci fossi io in quella stanza, mi piacerebbe essere divorato dalle formiche? Sì, noi divoriamo corpi ancora vivi, o appena morti: cerchiamo il massimo della freschezza. Lo facciamo con furore. E’ scritto nel nostro DNA» (un’antica tortura era legare la vittima a un formicaio, poi batterlo e lasciare che il suo corpo vivo fosse divorato dalle formiche. Ne parla lo straordinario “La danza immobile”, di Manuel Scorza, Feltrinelli).
Ci sono molte colpevoli collusioni, se un esercito di formiche oggi, e di topi domani, può arrivare in una stanza d’ospedale e sul corpo di una paziente. Ci sono le precise responsabilità di tutti coloro che dovrebbero vedere, e non vedono. Gli amministratori in primis, che dovrebbero garantire la pulizia, l’igiene, la manutenzione impeccabile (?) di edifici e strutture. Che dovrebbero garantirne il decoro, anche attraverso il ripristino dell’intonaco e del colore, la decenza e la pulizia dei bagni, la continuità dei pavimenti, ridotti a una ragnatela di crepe. Responsabilità di medici, infermieri, personale di pulizia. Un’unica formica in reparto dovrebbe già allarmare e far inviare un rapporto alla Direzione Generale. La sensazione è che ci sia una resa al peggio, che facilita il degrado in modo esponenziale. Succede in alcuni ospedali, in quartieri “malfamati”, succede in intere città, di cui Roma è l’esempio più tragico e lampante.
«Ci sono due modi per non soccombere. Uno è arrendersi all’inferno, fino al punto da non distinguerlo più. L’altro è saper riconoscere chi e che cosa, nell’inferno, non è inferno. E dargli spazio, e farlo durare» (Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori). Le formiche che oltraggiano rapide un corpo malato sono un monito severo. Ad aprire gli occhi. A non arrendersi. A impegnarsi in prima persona per cambiare le cose in meglio, in ogni ambito. Con concretezza, con giusto senso del dovere, etico e civico, con efficacia quotidiana. Quando una persona intubata, immobile e muta, diventa preda viva, nel luogo che la dovrebbe curare, dobbiamo interrogarci. E agire, per non diventare complici dell’orrore.

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