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Gravidanze provvisorie

27/08/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Una ecografia sospetta. Poi l'attesa degli altri esami. E l'intesa con il bambino si "incrina". Prima ancora della nascita.
“Ho letto con estremo interesse il suo articolo sull’amore tra mamma e bambino in gravidanza. Anch’io, come quella mamma, sono molto preoccupata, ma per una ragione diversa. Mia figlia, adesso all’inizio del quarto mese, ha una gravidanza difficile. Dall’ultima ecografia sembra che qualcosa nel cuore del bambino non sia a posto. Lei è tesa, preoccupata: tutto l’entusiasmo dell’inizio è svanito, comincia a parlare di interruzione di gravidanza. Io sono fiduciosa, spero che tutto alla fine andrà bene. Ma quanto contano questi esami prenatali nel rapporto madre bambino, con tutta l’ansia che creano? Lo shock di una diagnosi allarmante può poi ledere il rapporto futuro?”.
Francesca S. (Genova)
Lei mi pone una domanda cruciale, gentile signora. Non c’è dubbio: se una diagnosi prenatale tranquillizzante può aiutare a ottimizzare anche lo sviluppo dell’attaccamento tra madre e bambino, una diagnosi problematica può incrinare questo rapporto. Oppure renderlo comunque più difficile, più contrastato nell’instaurarsi, più vulnerabile a fattori di disturbo sostanziali, quali, per esempio, il rischio di malattia o di malformazione. Tuttavia, lei va ancora più a fondo: quanto contano la decisione di fare questi test e l’attesa del risultato? Molto. Per esempio, alcuni studi hanno evidenziato come molte donne aspettino ad investire emotivamente nella gravidanza fino a quando non siano pronti i risultati del test. Al punto che queste gestazioni sono state definite gravidanze provvisorie (“tentative pregnancies”): perché il dubbio di dover decidere per l’aborto, se l’esito fosse pessimo, pone la donna in un dramma affettivo. Come e perché attaccarsi a un bambino che non potrà vivere perché verrà abortito?

Quanto sono frequenti le malformazioni prenatali?

Circa il 3% dei neonati è affetto da una malattia, correlata o meno ad anomalie cromosomiche o a difetti genetici, oppure da malformazioni congenite. In molti casi, queste malattie possono essere prevenute, diagnosticate o curate attraverso le indagini prenatali.

Quanto pesa una diagnosi prenatale sul rapporto madre bambino?

Il “peso” della diagnosi prenatale dipende da molti fattori. Innanzitutto, la gravità del problema che viene diagnosticato: un piedino torto (oggi ben curabile) è diverso da una malformazione cardiaca complessa o da un’alterazione malformativa neurologica come la spina bifida. Secondo, la qualità e modalità delle informazioni ricevute: in cui conta molto il linguaggio che il medico usa, la sua chiarezza prognostica ma anche l’umanità con cui comunica non solo il rischio di problemi concreti, ma gli spazi reali di cura e soluzioni positive. Terzo: i valori della famiglia, la presenza di un credo religioso o meno, la percezione dell’handicap da parte della famiglia e della cultura di appartenenza.

Che cosa porta una donna e una coppia fare una diagnosi prenatale?

Sono fattori favorevoli: la necessità di rassicurazione sul fatto che tutto andrà bene; il consiglio del medico (che si basa sull’età e su eventuali fattori di rischio presenti nella storia personale e familiare); l’influenza e il sostegno del partner; la disponibilità ad abortire se si riscontra un problema serio; ma anche la speranza che ci possano essere cure efficaci se iniziate per tempo.
Nelle donne che rifiutano la diagnosi prenatale sono determinanti la paura di complicazioni legate agli esami e/o la paura di “ferire” il bambino; l’avere una fede religiosa forte; e, più in generale, una posizione “pro vita”.

La diagnosi prenatale cambia l'intensità dell'attaccamento tra mamma e bambino?

Sì. Gli studi del Professor Pier Luigi Righetti, dell’Università di Padova, ci dicono che le donne che non ricorrono alla diagnosi prenatale interagiscono di più con il bambino, tendono maggiormente ad attribuirgli caratteristiche particolari (“il bambino dei sogni”) e che in generale hanno un attaccamento maggiore e più precoce rispetto alle donne che fanno la diagnosi prenatale. Confermano quindi la sua intuizione, gentile e attenta signora.
Di fatto, ogni gravidanza porta con sé una rivoluzione interiore, oltre che fisica. Accanto ai cambiamenti corporei, la donna deve affrontare sostanziali cambiamenti emotivi. Non a caso la gravidanza viene definita come una fase di sviluppo ma anche di crisi. Una crisi “evolutiva” , in quanto causa sostanziali cambiamenti nella vita della donna. Ma anche una crisi “maturativa”, perché comporta la possibilità di rielaborare le esperienze precedenti per migliorare il proprio equilibrio psichico e la crescita personale. In questo percorso, la diagnosi prenatale può facilitare l’attaccamento, quando il risultato è rasserenante; o renderlo più problematico, in caso di conferma di problemi fetali. Ecco perché il sostegno psicologico alla gravida in questa fase è essenziale, sia da parte del partner e della famiglia di origine, sia da parte dell’équipe medica. Perché la solitudine decisionale non renda più doloroso un momento così delicato del rapporto madre-bambino.

Prevenire e curare – Come ottimizzare la diagnosi prenatale

La diagnosi prenatale è impegnativa, quanto più è motivata da rischi obiettivi. Per renderla il meno problematica possibile è essenziale che:
- le informazioni date dai medici siano chiare, dette in termini semplici e comprensibili; che la quantità e qualità delle informazioni siano graduali e meditate, per non spaventare inutilmente o minimizzare rischi invece gravi;
- accanto alla diagnosi medica ci sia un adeguato sostegno psicologico alla donna e alla coppia, per dar parole al dolore, alla preoccupazione, alla paura, al bisogno di conforto. E per aiutare a prendere decisioni importanti quali l’interrompere o continuare la gravidanza, e comunque a vivere una situazione inaspettata, inquietante e sconosciuta nel modo più costruttivo.

Diagnosi prenatale Gravidanza Rapporto mamma-bambino

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