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Depressione materna e conseguenze sul bambino

08/11/2005

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Ho 45 anni, mia moglie ne ha 38. Sei mesi fa è nato il nostro primo bambino, molto desiderato, arrivato dopo molte cure. Purtroppo è nato prematuro e questo ci ha creato non poche preoccupazioni per il suo futuro. Adesso tutto sembra a posto, il pediatra è ottimista, il bambino cresce e sta facendo tutte le tappe di un bambino normale. Purtroppo mia moglie è uscita devastata da questa esperienza. Ha il terrore che il bambino non sia normale, che resterà “handicappato”, ormai ha un’ossessione su questo. Ne sta facendo una vera e propria malattia. E’ come se la differenza tra il bambino perfetto che aveva in mente, e di cui avevamo tanto sognato insieme, e questo bambino che lei ha visto per un mese solo attraverso il vetro di un’incubatrice, l’avesse non solo turbata, ma quasi estraniata dal piccolo. Ho parlato con il nostro medico di famiglia e il ginecologo che l’ha seguita, e tutti e due mi dicono che poi, vedendo che il bambino è normale, si tranquillizzerà. Io non sono affatto tranquillo. La nostra vita intima è inesistente. Sesso, neanche a parlarne. Ma non è questo il motivo per cui le scrivo. E’ che l’ho sentita alla radio e mi ha molto colpito quello che lei ha detto sulla cecità dei familiari nei confronti della depressione delle donne dopo il parto, e delle conseguenze sul bambino. Io non sono cieco, ma a chi posso chiedere un aiuto concreto che non si limiti ad un passivo “passerà”? E, soprattutto, cosa posso fare io, per lei e per il bambino? 
Un marito inascoltato
Gentile signore, capisco la sua preoccupazione. Lei ha ragione quando dice che questi segnali sono angoscianti. E ha ragione a essere inquieto sul futuro del piccolo, oltre che per sua moglie. Mi sembra evidente che la signora soffra di una grave depressione puerperale: l’ossessione esasperata e, a quanto mi dice, ora immotivata per la salute del piccolo, è uno dei segni principe di una distorsione di giudizio che potrebbe  sfociare in un disturbo ancora più grave della depressione, una vera e propria psicosi, in cui tutto il rapporto con la realtà è stravolto e che può sfociare in tragedia. Ha ragione a non accettare un miope “passerà”. Sua moglie sta male, e deve essere aiutata adesso. Innanzitutto, con una diagnosi appropriata: lo psichiatra dovrebbe valutare se si tratti di depressione – e trattarla, anche farmacologicamente, con gli opportuni antidepressivi – o di una ben più pericolosa psicosi, che può necessitare di un ricovero in centri specializzati. Un trattamento combinato, con antidepressivi ed estrogeni sembra oggi dare i risultati migliori, in termini di uscita dalla depressione.
La forma più grave di depressione (la cosiddetta “depressione maggiore”  che esplode in puerperio, e che colpisce il 10-15% delle donne, e ben il 36% delle neomamme più giovani) è infatti scatenata dalla caduta degli estrogeni dopo il parto, in soggetti geneticamente predisposti alla depressione. La demonizzazione dell’aiuto farmacologico – oggi così di moda – non considera che gli effetti collaterali sulla madre e sul bambino di una depressione o di una psicosi non trattata sono infinitamente più gravi e persistenti di quelli di un farmaco usato bene. Una mamma depressa, che vive il bambino “come un estraneo”, come lei dice, lo priva di quel nutrimento d’amore, fatto di sguardi, sorrisi, carezze, coccole, abbracci, che è essenziale per lo sviluppo emotivo, oltre che intellettuale del piccolo. Il ritardo cognitivo nei bambini figli di madri depresse, e la loro inadeguata “intelligenza emotiva”, sono la drammatica prova di quanto sia grave, per lo sviluppo del piccolo, che la depressione materna non venga trattata: li rende bambini di “serie B”. In più una madre depressa è anche meno attenta ai rischi di piccoli o grandi incidenti che un piccolo corre nella vita quotidiana. Un poderoso studio americano, appena pubblicato su Pediatrics da Cynthia Minkovitz e collaboratori, ha dimostrato che nei primi tre anni di vita i figli di madri depresse hanno un aumento del 44% di visite al pronto soccorso pediatrico per incidenti domestici e una riduzione del 20% dei normali controlli di routine.
Lei cosa può fare? Cercare uno psichiatra e un ginecologo preparati che, possibilmente in collaborazione, aiutino sua moglie a riprendere il filo della propria vita. Un aiuto psicoterapeutico può essere prezioso ma non può – da solo – sostituire l’aiuto farmacologico. Le stia vicino, la incoraggi ad uscire, la coccoli, le parli, sia positivo con lei senza colpevolizzarla (lo fa già da sé). Prenda un permesso di paternità, la situazione lo richiede! E soprattutto, segua molto il piccolo. Gli parli, lo coccoli, ci giochi. Cerchi di coinvolgere la mamma di lei – se abita vicino a voi – nella cura del piccolo, almeno per qualche ora al giorno. I bambini, amati e stimolati con tenerezza, hanno una straordinaria plasticità che consente loro di recuperare molto, anche nei confronti di un eventuale danno cerebrale. Più li seguiamo, più i bambini crescono in fiducia in sé e in autostima. Meno li curiamo, e più anche il bambino con eccellenti potenzialità viene privato di quell’affettuoso allenamento alla vita che traduce le potenzialità in realtà di talenti e di gioia di vivere. Non si arrenda al fatalismo e all’omissione diagnostica di certi medici. Cerchi aiuto e, soprattutto, sia molto presente. La sua insostituibile presenza, positiva e affettuosa, può cambiare il destino di sua moglie e del vostro bambino.

Depressione post parto Rapporto mamma-bambino

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