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Dall'astensionismo al volontariato: un modo nuovo di fare politica

17/06/2013

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

C’è un astensionismo positivo, costruttivo, fruttuoso, che può attivare un nuovo modo di fare politica? Ascoltando, osservando, riflettendo, mi sembra di sì. Certo, è un fatto: sempre più italiani rinunciano a votare: per delusione, disaffezione, frustrazione. Per rifiuto di dare ancora il proprio voto a persone che senza ritegno tradiscono il mandato fiduciario che è l’essenza del contratto di partecipazione democratica: un crollo di fiducia verticale che ha travolto partiti perfino molto radicati nel territorio, come è stata un tempo la Lega.
Questa è la crisi più forte della politica rappresentativa, percepita oggi come puro potere finalizzato a ottenere vantaggi personali. Dal punto di vista del cittadino comune, votare è diventato inutile, se non simbolicamente suicida. Per due ragioni: in primo luogo, perché non sopporta più di veder le tasse che continuano ad aumentare, e troppi politici (non tutti, per fortuna) che impuniti rubano migliaia e milioni di euro: «Io pago le tasse, ma devo vederle usate bene. Sennò mi sento preso in giro e non ti voto più!». Di essere vittima di una giustizia lenta e ingiustissima che lascia desolati, tanto sembra alleata di potenti, delinquenti, corrotti e ladri d’ogni tipo. Di dover affrontare una disoccupazione che toglie speranza e lacera le famiglie. Di vedere città sempre più sporche e ambienti naturali sempre più degradati, in un’inerzia sospesa tra rassegnazione e accidiosa complicità. In secondo luogo, perché ha la sensazione che i nostri politici non abbiano più l’autorevolezza e la capacità di rappresentare il Paese con forza contrattuale di fronte all’Europa. Che, ormai, tutte le grandi decisioni vengano prese altrove, in Germania, Francia, a livello del Fondo Monetario Internazionale e così via. E che i nostri recitino una liturgia partecipativa europea che ha mantenuto i riti – gli incontri, le strette di mano, i sorrisi e i comunicati stampa – ma perso la sostanza e l’anima. Due ragioni su cui partiti e politici dovrebbero riflettere. Anche il voto di protesta, se non trova poi coerenza fra slogan e comportamenti dialetticamente costruttivi, si scioglie come neve al sole: basti vedere come sta fuggendo la fiducia data ai 5 Stelle.
Ma ecco il buono che fa ben sperare: ci sono tanti cittadini, uomini e donne di ogni età, che non votano ma agiscono, invece di delegare: «Mi tengo un pomeriggio alla settimana per andare in ospedale a trovare le persone sole: così faccio qualcosa di buono e utile». «Dai, facciamo una squadra e andiamo a pulire quell’argine. Così diventa più sicuro per tutti». «Insegno gratuitamente l’italiano a un gruppo di immigrate: senza linguaggio non c’è integrazione…». «Pulisco ogni mattina il marciapiede davanti a casa, perché se tutti facessero così la città sarebbe più bella già al mattino presto». «Ripitturo da me questo muro imbrattato, così intanto si comincia a veder più pulito». «Andiamo a cantare in una casa di riposo: così portiamo un po’ di gioia anche a questi poveri vecchi sempre soli». «Farò un centro di riabilitazione gratuito: dopo quel che mi è successo, voglio essere utile agli altri finché sono vivo e posso decidere il meglio».
Questa è politica partecipativa in prima persona: non gridando slogan di partito, ma facendo ogni giorno qualcosa che faccia vivere meglio gli altri e noi stessi, per un senso più alto della convivenza civile nella città (la pólis), nel quartiere, nel paese. Con impegno, responsabilità, rispetto per gli altri, correttezza e concretezza. L’azione personale, il volontariato, oggi è la vera politica, l’unica che incide e migliora. Ben venga l’astensionismo costruttivo, che precisi quanto la misura sia colma, nella politica rappresentativa. Ma che al tempo stesso accenda la voglia di uscire di casa per fare bene in prima persona, per cambiare le cose, ciascuno nella sua sfera di azione.
La migliore risposta alla crisi è che ognuno, come tanti già fanno, invece di urlare, lamentarsi o insultare, si rimbocchi davvero le maniche. Per imparare ad essere un politico diverso. Perché il Paese è l’insieme di ciascuno di noi. E perché vogliamo che sia ancora Italia felix, Italia felice.

Politica Riflessioni di vita Volontariato

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