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Controcanto: i doveri dei giovani

03/01/2011

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“A diamond cannot shine without friction”: un diamante non può brillare se resta grezzo. Questo detto sudafricano m’è tornato in mente ascoltando il discorso che Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, ha dedicato al malessere dei giovani nel suo messaggio agli italiani. Ho ascoltato, in attesa: il Presidente ha dato grandissimo spazio al bisogno di opportunità (che ci sono, ma bisogna essere preparati per coglierle); al diritto allo studio (sacrosanto); al diritto al lavoro (sacrosantissimo); al distacco tra politica e società (disamore storicamente meritato); alla necessità di non cedere alla tentazione della violenza (ma il recente sacco di Roma, con tutti i distruttori liberi e i contribuenti nazionali obbligati di fatto a pagare i danni vandalici per l’ennesima volta, ha dato ben altro messaggio pragmatico). Ho ascoltato, in attesa: ma un bell’affondo anche sui doveri dei giovani, questo non c’è stato. Solo fuggevolmente, alla fine del discorso, poche parole sull’importanza dello studio e della ricerca. Troppo poche.
Come si può brillare, se non si tolgono chili di scorie, fatte di impreparazione e ignoranza? Che cosa fanno gli oltre due milioni di giovani italiani che, secondo l’ISTAT hanno compiuto l’iter scolastico con diploma o laurea, e non lavorano, non studiano, non fanno apprendistato? Aspettano che il diritto al lavoro si concretizzi, forse per magia? Certo, i tempi sono duri. Il mercato del lavoro è una palude; il vedere come in Italia essere raccomandati sia all’inizio più importante del merito è frustrante e insultante: lo so per vita. Ma ho visto che la preparazione vince. Ecco perché se i tempi sono duri, e il contesto italiano è poco meritocratico, è indispensabile puntare sul dovere di prepararsi al meglio, fin da piccoli. Scriveva Antonio Gramsci, nei tempi difficili del fascismo: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”.
Se vogliamo cambiare le cose, se vogliamo distillare il meglio delle moltissime risorse di questo privilegiato e noncurante Paese, dobbiamo puntare sull’importanza essenziale del principio dei doveri dei giovani e non solo sull’enfatizzazione dei loro diritti. La preparazione, anche alla vita e al lavoro, non si improvvisa. Non si può ciondolare per tutta l’adolescenza, cercare la sufficienza strappata con la complice connivenza di genitori a priori sempre dalla parte dei figli, e pensare che improvvisamente si troverà un magnifico lavoro, solo perché si ha un (deprezzato) pezzo di carta in mano, diploma o laurea che sia. Queste sono illusioni pericolose, che poi alimentano violenza, degrado e distruttività, verso di sé o verso gli altri, e fanno crescere il numero di disoccupati inoccupabili.
Musica sarebbe stata, sentire questo richiamo forte all’impegno allo studio, allenamento essenziale a saper pensare e a saper fare. E mi (ci?) avrebbe emozionati sentire (ri)valorizzate le scuole professionali, di cui abbiamo immenso bisogno: per dare un futuro di qualità a ragazzi/e che hanno talenti e abilità manuali. Meglio fare il meccanico perché si ha la passione e il gusto di sentire il canto del motore, e crescere fino a gestirsi un’autofficina, che fare il laureato disoccupato. Meglio fare il cuoco, professione oggi in crescita verticale. Avete cercato di assumere un impiegato, una collaboratrice, ma anche un’estetista? Basta poco per accorgersi che mancano alcuni fondamentali: la capacità di programmarsi per un compito, di organizzare un lavoro, di pensare in modo costruttivo e orientato all’obiettivo; la capacità di concentrarsi su un discorso o una mansione per più di cinque minuti. E manca spesso quel tocco di educazione per rivolgersi agli altri con garbo e gentilezza (qualità essenziali in ogni rapporto con il pubblico). Se poi il lavoro richiede un minimo di cultura, apriti cielo. L’italiano? Un disastro, anche sui fondamentali (grammatica, sintassi e perfino punteggiatura). Sull’inglese o altre lingue straniere, stendiamo un pio velo. Senza calcolatrice, troppi giovani non sanno più fare nemmeno le addizioni a due cifre. Della cultura generale, nebbia totale. Con qualche eccezione.
Per questo sarebbe stato essenziale un bell’affondo sui doveri: impopolare ma necessario. Non solo dei giovani, peraltro. Doveri dei genitori, che viziano senza pudore “pur di sentirsi amati”, invece di educare, con autorevolezza e fermezza, con più equo rapporto tra diritti e doveri. Doveri degli insegnanti: di prepararsi e di rendere appassionante l’apprendere. Solo un’ottima preparazione soprattutto negli anni preziosi dell’adolescenza – oggi terra di smarrimento nazionale – può rendere un giovane competitivo e vincente, anche nel nostro Paese. Tanto più se è stato stimolato fin da piccolo a coltivare i suoi veri talenti, manuali, intellettuali, sportivi, creativi o musicali, con determinazione, disciplina e costanza. Giovani come diamanti: accanto al diritto di brillare, c’è il dovere personale di raffinarsi e coltivarsi, togliendo con impegno tutte le scorie dello spontaneismo, dell’improvvisazione, dell’irresponsabilità, del vandalismo.

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