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All’alba dell’umano: la civiltà inizia della cura degli altri

All’alba dell’umano: la civiltà inizia della cura degli altri
13/06/2022

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Gli studenti erano molto eccitati. La possibilità di incontrare Margaret Mead (1901-1978), celeberrima antropologa americana, li aveva galvanizzati. Incontrare un mito, fuori dagli schemi e controverso, mette il turbo al cervello dei giovani più ardenti e brillanti. Immagino che il dialogo sia andato così.
«Quando iniziò la civiltà, secondo lei? – chiese uno studente dagli occhi profondi. – Che cosa ci dà la certezza che quello sia stato il vero passaggio all’umano?».
Margaret Mead sorrise, un lampo negli occhi. Guardò con ammirazione lo studente, in silenzio. L’attenzione in aula era acutissima. «Domanda eccellente! Bravo! Questo è il punto su cui ognuno di noi dovrebbe interrogarsi. Perché le implicazioni trascendono l’antropologia. Riguardano la nostra vita, i nostri comportamenti, la nostra cultura, la nostra coscienza. Vediamo quali siano le vostre risposte a questa domanda cardinale, poi vi darò la mia».
Dopo un silenzio imbarazzato, una studentessa osò rompere il ghiaccio: «I primi manufatti, i primi utensili, le pentole per cucinare». Qualcuno rise: «Le pentole!». «In realtà è una buona osservazione – commentò Margaret Mead. – Cucinare è un processo molto articolato. E cucinare per qualcuno indica già un’aggregazione sociale, un primo nucleo familiare, per così dire».
«Però bisogna ben avere qualcosa da mettere in pentola! – intervenne un ragazzo sveglio e pragmatico. – Bisogna andare più indietro nel tempo, secondo me. Direi i sassi appuntiti, da usare come punta di freccia. E la scoperta del fuoco. Sennò come fai a cucinare con le tue pentole?!», aggiunse con sguardo di sfida guardando la ragazza.
«Se è per quello, puoi anche cucinare semi, mica solo selvaggina. Anzi, mi correggo – disse la ragazza guardando Margaret Mead – Per prime metterei le macine di pietra!».
In breve, l’elenco degli oggetti e degli utensili si allungò, tra battute e rilanci. Margaret Mead guardò il primo studente. Il ragazzo si alzò, con autorevolezza inattesa: «Siamo qui per ascoltare lei! Professoressa, le richiedo: quando è iniziata la civiltà?».
Il silenzio ripiombò sull’aula come un falco in attesa. Lei attese il silenzio al diapason, e iniziò: «Molte delle vostre risposte sono corrette. Le migliori disegnano le scene più importanti del film dell’evoluzione della civiltà. Ancora di più se immaginiamo quel segno, l’utensile per esempio, all’interno della sua funzione, non sono per l’individuo ma anche per il gruppo cui apparteneva. Erano tutte scoperte utili a continuare la vita dei sani. La selezione naturale, per i primi umani, era spietata. Tuttavia, il passaggio più critico per parlare di civiltà è un altro. Esteriore e interiore insieme». E continuò: «A mio avviso, il segno certo ha custodito per millenni il suo segreto all’interno di una tomba. E quel segno era in uno scheletro».
«Uno scheletro?! E perché?», rilanciò lo studente amico delle frecce e del fuoco.
«Solo ora, con gli studi radiografici, lo abbiamo visto con certezza. – proseguì Margaret Mead – E’ scritto su uno scheletro, con un femore rotto e risaldato. Perché?, mi chiedete. Nessun animale con la zampa spezzata può sopravvivere alla notte. Diventa rapidamente cibo fresco per i predatori. Un uomo con un femore guarito dopo la frattura ci rivela molte cose: che il trauma sia stato accidentale, o avvenuto in combattimento, qualcuno si è preso subito cura di quell’uomo, portandolo al sicuro, al riparo dai predatori o dai nemici. Lo ha accudito, lo ha protetto, gli ha dato da mangiare e da bere per lunghi mesi. Un femore rotto richiede mesi per saldarsi, non una notte o una settimana. Prendersi cura a lungo di un ferito indica emozioni e sentimenti. Indica anche un uso generoso delle risorse, il cibo e l’acqua, sempre al limite della sopravvivenza. Indica una prima ricerca di cura, forse con erbe. Il prendersi cura di un ferito, o di un malato, proteggerlo e nutrirlo, cacciare e raccogliere semi anche per lui, per restituirlo alla vita, quello è il vero punto di svolta di una civiltà».
Gli studenti ascoltano intensi. Continua Mead: «Finché funziona la legge della giungla, la sopravvivenza del più forte, non si troveranno mai femori spezzati e guariti. Le società primitive, di pura sopravvivenza, non potevano permettersi questo livello di compassione».
Anche se la data e il luogo dell’incontro non risultano documentati, resta la straordinaria verità di questa lettura dell’evoluzione. Insieme alla sua drammatica vulnerabilità. Le società, anche le più cosiddette evolute, mostrano al loro interno un nucleo duro, fatto di dialettiche opposte, che può rapidamente diventare lotta fratricida, tra le istanze di cura e di pace e le istanze di guerra, di sopravvivenza e dominio del più forte, incurante del massacro. O che anzi ricerca il massacro, per dominare di più.

Antropologia Civiltà Compassione e cura Rapporto con il malato Riflessioni di vita

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