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Adolescenti e identità sessuale: i fondamenti genetici

Adolescenti e identità sessuale: i fondamenti genetici
08/08/2022

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Tu come ti senti, sessualmente parlando? Fluido o solido?». Che cosa rispondereste, gentili lettrici e lettori? Uno studio per coorti d’età mostrerebbe un incremento esponenziale della fluidità sessuale nelle generazioni più giovani. Se osserviamo i media, l’identità sessuale fluida è oggi di gran moda, quasi il segno distintivo della modernità. Al punto che le identità solide, fino a pochi anni fa sogno di ogni genitore di buon senso, sembrano reperti del paleolitico.
Sotto i riflettori contemporanei ci sono solo gli aspetti positivi della fluidità, che inneggiano alla libertà di espressione, alla bellezza di non avere limiti né paradigmi di riferimento, in un continuo fluire dell’Io e delle esperienze sessuali a seconda dei contesti, delle opportunità, degli incontri. In realtà questa fluidità ha molti lati oscuri, luci e ombre, potenzialità e rischi che è bene conoscere. Mi sono dedicata allo studio dell’identità sessuale fin dall’università. “L’enigma dell’identità”, scritto in collaborazione con la professoressa Jole Baldaro Verde, uscì già nel 1992 (Edizioni Gruppo Abele).
L’identità sessuale riconosce tre grandi componenti: 1) l’identità di genere, che indica la percezione di appartenenza, più o meno soddisfatta, al proprio genere biologico, maschile o femminile. L’identità solida è un fattore di equilibrio, serenità e realizzazione. Quando è disturbata, configura disturbi noti come “disforie di genere”, che culminano nel transessualismo, quel sentirsi “un uomo intrappolato dentro il corpo di una donna”, o viceversa. Transessualismo primario, se i comportamenti tipici del sesso opposto compaiono prima dei due anni di età; secondario, se esplode nell’adolescenza, dopo un’infanzia difficile; 2) l’identità di ruolo, con cui una persona esprime al mondo esterno l’appartenenza al proprio genere biologico. Tradizionalmente, gli uomini svolgevano solo lavori con ruoli maschili e le donne solo lavori con ruoli femminili. E’ oggi l’aspetto più sanamente fluido, perché consente a un uomo di esprimere talenti tradizionalmente considerati femminili come il cucinare, cucire o disegnare vestiti, prendersi cura del corpo, e a una donna di svolgere ruoli maschili, carriera militare in primis; 3) l’identità di mèta, che indica la direzione del desiderio, omo o eterosessuale, dove la sperimentazione “per moda” sembra superare la motivazione espressiva profonda.
Come si struttura l’identità? La gravidanza ne è la prima custode. Il sesso biologico è determinato al concepimento. L’embrione umano ha 46 cromosomi: 44 autosomi più 2 cromosomi sessuali. E’ maschio se i due cromosomi sessuali sono XY, femmina se sono XX. Questa è la condizione necessaria. Ma non è sufficiente. L’identità base, di default, è femmina. Se l’embrione ha 45 cromosomi (44+X0), nasce femmina, ma è sterile. Se è 44+XY, quindi cromosomicamente maschio, ma esprime poco gli ormoni maschili per difetti genetici, nasce con un cervello meno mascolinizzato. Se la madre subisce un pesante stress prolungato (come successe durante i bombardamenti di Dresda), produce più androgeni, più deboli del testosterone. Se il feto è maschio, risulterà meno androgenizzato, “più femminile”, perché nel cervello il testosterone prodotto dal testicolo fetale subisce la competizione degli androgeni deboli prodotti dalla madre sotto stress. Se il feto è femmina, il suo cervello ne sarà più mascolinizzato.
Alla nascita, l’aspetto dei genitali esterni consente di attribuire il sesso anagrafico: «E’ un bel maschietto» o «E’ una bella femminuccia», dichiarati al mondo col fiocco azzurro o rosa. Dopo la nascita, la percezione di identità subisce una potente modulazione psicologica da parte dei genitori o di loro sostituti stabili. I neuroni specchio dei bimbi filmano ogni comportamento e lo riproducono. L’identità si struttura come maschile, se il maschietto ha l’opportunità di identificarsi con un padre presente che gli sia di modello, ispirazione e stimolo positivo, e di complementarsi con la madre. E viceversa per la bimba. Con tutti i limiti, una coppia parentale solida e stabile dava modelli di riferimento consolidati di genere, ruolo e mèta. Le grandi famiglie consentivano al bambino di avere molteplici modelli adulti, con uno preferito in cui riconoscersi per somiglianza e affinità elettive. La volatilità delle coppie contemporanee, lo sradicamento dalle famiglie di origine, la latitanza di molti padri dopo la separazione, la prevalenza di insegnanti donne in tutto l’iter scolastico stanno creando una crescente asimmetria nei modelli di riferimento maschili e femminili indebolendo la percezione di identità. Le implicazioni sono molteplici. Le approfondiremo. Grazie per le vostre osservazioni, perché il tema è centrale per il futuro e la serenità dei nostri figli.

Adolescenti e giovani Famiglia e rapporti familiari Genetica e fattori genetici Identità sessuale / Disturbi dell'identità

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