EN

Università italiana: dove sono i Maestri?

25/08/2014

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Nessuna italiana tra le 150 università migliori del mondo. E solo 21, contro le 146 statunitensi, nella classifica dei 500 migliori atenei del mondo, l’Academic Ranking of World Universities stilato annualmente dall’università Jao Tong di Shanghai (Cina). Bologna è la migliore, ma ben dopo il 150° posto. Per facoltà, si salvano Matematica, a Milano (76°), e Fisica, a Bologna (50°). Le ragioni di questa débâcle, con lodevoli eccezioni da valorizzare, sono molteplici:
1. visione dell’università come centro di potere – economico, relazionale, di ruolo e di status – e non come motore limpido e carismatico del sapere, del ricambio generazionale professionale e pensante di una nazione, del suo prestigio di fronte ai suoi stessi cittadini e al mondo (il termine “università” deriva dal latino “universum”, “tutto intero”, a indicare l’internazionalità del sapere fin dal Medioevo, quando i primi gloriosi atenei italiani, Bologna e Padova, furono istituiti). Di conseguenza, corruzione diffusa nel metodo di selezione dei suoi ranghi. In questa corruzione strutturata e viscerale della visione universitaria si radicano: a. assenza di meritocrazia, con oltre 5000 ricercatori dai cervelli brillanti costretti ad andare all’estero. E restarci, perché al ritorno possono avere al massimo dei contratti a termine, svilenti per ruolo e avvilenti per compenso; b. concorsi pilotati: la regola, con sparute deroghe, è che tutto venga deciso prima, negli accordi fra cattedratici, indipendentemente dai curriculum presentati; c. nepotismo allargato, con atenei in cui fino a venti parenti hanno posizioni di ruolo; d. conseguente e sostanziale disinteresse alla ricerca, con pochi universitari italiani, in proporzione al numero complessivo, che pubblichino in riviste internazionali prestigiose o siano invitati come docenti nelle migliori università straniere; e. incuria per l’insegnamento, con lezioni di imbarazzante pochezza, diapositive e dati obsoleti, presentati agli studenti dall’ultimo dei ricercatori, come seccatura da sbrigare al più presto; f. conoscenza a picco, con lauree formali che non danno competenza professionale, né metodo e passione per governare con successo se stessi e la vita, oltre al lavoro;
2. scarso interesse per l’ambiente universitario, che è fatto di persone, luoghi e metodi, da parte dello Stato. Sulle persone, basterebbe utilizzare seri criteri di efficacia per verificare l’idoneità a insegnare: per ogni universitario quante pubblicazioni all’anno, come primo autore, su riviste internazionali prestigiose e non corruttibili; quante lezioni fatte personalmente; aggiornamento dei dati; conoscenza dell’inglese; quanti inviti in università straniere e congressi mondiali; votazione sul metodo/valore e interesse per l’insegnamento da parte degli studenti; valutazione dei risultati da parte di una commissione europea, super partes. Chi non soddisfa i requisiti vada via, anche se è professore di ruolo: andrà a fare qualcos’altro. L’insegnamento universitario non può essere una rendita di posizione. Sui luoghi, va denunciato il degrado umiliante di molte strutture universitarie, sporche, con muri scrostati, topi che corrono, manutenzione latitante: specchio impietoso del parallelo degrado dello pseudo-insegnamento che ospitano. Mi commuovo e mi si stringe il cuore quando vedo la bellezza e la cura di molte università straniere, dall’Irlanda al Canada, dalla Francia all’Australia, per non parlare dei campus statunitensi. Dove giustamente anche lo sport è onorato, in coerenza con l’antico adagio “Mens sana in corpore sano”. Si studia meglio in ambienti curati, dove corpo e mente si sviluppano in armonia. Sui metodi: se l’università va avanti per nepotismo diretto e indiretto, se la ricerca langue e l’insegnamento è una seccatura, viene meno il cuore pulsante della stessa istituzione, che in molte sedi è un malato grave.
«Capitano, mio capitano…» dicono i ragazzi salutando in piedi il loro Maestro nell’“Attimo fuggente”: un film che ci ha preso il cuore perché tutti abbiamo bisogno di un Maestro di vita, oltre che di conoscenza e di cultura. Gli universitari di qualità, che Italia ci sono, riprendano la leadership di questa istituzione essenziale, per ridarle il prestigio etico e culturale delle origini. Anche a livello politico, tuttavia, urge un'azione concreta: fatti, non parole.

Apprendimento Politica Riflessioni di vita Scuola e università

Iscriviti alla newsletter

Rimani aggiornato su questo e altri temi di salute e benessere con la nostra newsletter quindicinale

Iscriviti alla newsletter