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Le radici e le ali

10/08/2009

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Ci sono due cose che possiamo solo ricevere in dono e unicamente da chi ci ha dato la vita: le radici e le ali”.
Questo sostiene Guido Dotti, nell’introduzione a “Un vivere alternativo”, di Thomas Merton (Edizioni Qiqajon, 1994). Coglie così, in modo semplice e folgorante, l’essenza dell’essere genitori: dare ai figli le radici, il senso di appartenenza ad una famiglia, a una casa e a una terra, a una cultura e a una nazione; a un ambiente fatto di orizzonti, di luce, di odori, di profumi, di emozioni, di sentimenti, di ideali condivisi. Più forti sono le radici, più stabili e consolidate, più profondo il loro nutrirsi nel terreno familiare, più strutturato sarà l’Io che il bambino e poi l’adolescente riesce a maturare e sviluppare. E maggiori saranno il gusto e la passione di vivere, assaporando i piccoli dettagli di un giorno come le grandi emozioni. Solo allora un figlio potrà volare, e volare alto nella vita, davvero libero e felice, anche se i venti sono contrari, se a volte piove o tempesta, se fa freddo, se l’ambiente è ostile, perfino se un malattia lo ferisce.
Si può volare ancora, nonostante tutte le avversità, quando si ha la certezza di essere (ed essere stati) amati, quella certezza che ci dà il senso profondo di avere solide radici e accende il sole e il coraggio di vivere, forti dentro al cuore.
Qual è il terreno più fertile in cui le radici possono svilupparsi nel modo migliore? E’ innanzitutto il terreno della costanza degli affetti, della presenza non (o non solo) fisica, ma soprattutto emotiva dei genitori e, possibilmente, di altri familiari significativi, con i nonni in testa. Perché i nonni condividono il lessico familiare, le atmosfere emotive, ma anche i toni di voce, il linguaggio, i profumi e i sapori del cibo, tutti quei segnali fisici che più di tutti ci danno il codice profondo dell’appartenenza, fin dalla nascita. E perché, per esperienza e saggezza, sanno in genere mediare meglio l’affetto con le giuste regole e l’educazione al giusto rispetto. Quel senso essenziale di appartenenza che è stravolto nei bambini abbandonati e quindi sradicati, dati in affido o in adozione, con danni tragici proprio alle loro radici fisiche e psichiche, a meno che una nuova famiglia – stabile!!! – non sia in grado di ridare un fertile terreno d’amore in cui il bambino possa radicarsi timidamente, ancora. Una presenza affettuosa che non è fatta solo di approvazione o di “sì” incondizionati ad ogni richiesta o capriccio del bambino, proprio o adottivo. E’ fatta anche di capacità di contenere la sua impulsività con le giuste regole, con i “no” necessari, motivati con affettuosa fermezza e senza deroghe. E’ fatta di “frustrazioni ottimali”, quei “no” che aiutano il bambino e l’adolescente a capire che non esiste solo l’“io”, ma anche il “noi”. Quegli “ostacoli” che ne irrobustiscono il carattere, la volontà ma anche la capacità di autodisciplina. E lo aiutano a capire che i suoi diritti non sono infiniti, le sue esigenze non devono né possono essere sempre soddisfatte e che urla e strepiti non sono la via per ottenere tutto quello che vuole. Che l’educazione, anche formale, è la via (ex-ducere) per tira fuori il meglio di sé. Che l’amore è reciproco, e richiede che anche il bambino impari a condividere tenerezza, piccole attenzioni, gentilezza e rispetto. Che impari ad aiutare in casa, ad apprezzare quello che i genitori fanno per lui o lei, senza darlo per obbligato, dovuto o garantito. Che impari le piccole manualità che danno la soddisfazione del fare, dal cucinare al bricolage domestico, dal giardinaggio, alla cura della bicicletta o del motorino. Quel fare manuale oggi dimenticato che fa di molti nostri figli degli analfabeti della vita, incapaci di autonomia e di quel “problem solving skill”, quella capacità di risolvere piccoli e grandi problemi pratici, che è invece un grandissimo allenamento a sapersi muovere nella complessità dell’esistenza. Radici che sono anche culturali. Leggiamo loro le fiabe, da piccolissimi, e poi dei racconti, che profumino della vita della loro terra, come il delizioso “Il libro degli animali” di Mario Rigoni Stern (Einaudi Editore, 2005). Ma anche selezionando, quando sono più grandicelli, storie vere di guerra, come “Il sergente nella neve”, sempre del grande scrittore veneto. Perché non approfittare dell’estate, per condividere uno sguardo sul passato che non sia fatto solo di date o di vittorie e sconfitte, ma di memorie vere di chi la guerra l’ha vissuta? Magari facendo poi delle gite in montagna per ripercorrere i sentieri di guerra, le linee del fronte, o quei piccoli musei che tanto raccontano, purché vi si soffermi con sguardo attento e partecipe. Una vacanza intelligente e diversa. Una bambina, un bambino, che possa condividere con i genitori racconti ed esperienze passate, le emozioni vere e il dolore silenzioso e dimenticato di chi ha fatto davvero la storia, attraverso racconti condivisi, non le dimenticherà più. Anche queste sono radici, e radici potenti. Come lo è, per chi ha sensibilità musicale, incoraggiare un figlio a suonare uno strumento e ad amare la musica. Tutto quello che stimola i talenti di un figlio, meglio ancora se con una base genetica o comunque familiare, ne rinforza le radici e il senso di appartenenza, ma gli forma anche le ali giuste per volare. Ali che si irrobustiscono se sono allenate. Molto allenate. Ecco perché è importante lo studio, oggi così negletto. Perché è importante leggere molto per arricchire l’espressioni verbale, per possedere un vocabolario linguistico ricco e appropriato, ma anche per conoscere la cultura del mondo. Perché è utile l’apprendere a memoria, esercizio essenziale per consolidare nella mente ricordi e strutture linguistiche ritmiche e complesse, ma anche emozioni di bellezza. Perché è importante l’esercizio fisico e la pratica regolare di uno sport amato.
Le ali per volare nella vita sono fisiche e mentali. Per farle crescere forti e potenti i genitori devono evitare quattro errori principali: l’iperprotettività, ansiosa e paralizzante; l’accondiscendenza indiscriminata, con l’illusione che “viziando” i figli se ne rinforzi l’amore; la resa all’accidia adolescenziale, quell’indolenza mista a noia e indifferenza, che uccide i talenti migliori, lasciandoli in balìa di impulsività e autodistruttività; e il culto devastante del denaro, sopra ogni cosa e ogni valore.
Sì, educare un figlio richiede non solo amore, ma anche tanta energia e tanta fatica, tanto impegno e costanza di presenza, vigile e attenta. Oggi più di ieri, perché le insidie dell’ambiente sono più precoci e pericolose. Ma la soddisfazione è impareggiabile quando, guardando un figlio, si può dire: “Sì, le radici le ha solide. E ora ha ali splendide e forti, tutte sue, giuste per volare alto. In alto, libero nel mondo”.

Adolescenti e giovani Autorealizzazione Bambini Educazione Riflessioni di vita

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