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L'eredità di un padre

21/02/2005

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Qual è la migliore eredità che un padre può lasciare ai figli? Fa pensare quell’uomo che, colpito da un tumore, si è trasformato in ladro, per poter lasciare ai figli una discreta somma di denaro. L’uomo, incensurato, aveva chiuso in perdita una sua attività commerciale.  Ha messo a segno diversi colpi, prima di essere scoperto. Per lui, lasciare del denaro era l’unico modo, forse, per far sentire ai figli che “aveva pensato a loro”.
Anche in passato, lasciare ai figli qualcosa di solido, di tangibile, che consentisse loro di avere una sicurezza economica, era un’ambizione comune e legittima. Ma chi, dei nostri padri, si sarebbe trasformato in ladro per lasciare un’eredità? Ieri, l’eredità sociale  non negoziabile era per esempio “un buon nome”. Un padre stimato, rispettato, apprezzato per la sua rettitudine, per la sua correttezza e la sua lealtà, per il suo senso civico, era la miglior carta di presentazione, la migliore referenza. La migliore eredità morale che un figlio potesse avere. Giustamente. I caposaldi dell’etica, del senso di responsabilità, il rispetto delle regole, ma anche l’equilibrio della persona, sbocciano e crescono innanzitutto in famiglia. Genetica ed educazione, natura e cultura, nel loro intreccio inscindibile, creano il profilo della persona, ma anche la sua affidabilità, la sua umanità, il suo valore essenziale, nel microcosmo della famiglia come nel macrocosmo sociale. Una denuncia per furto sarebbe stata una macchia indelebile per tutta la famiglia, un disonore, come si diceva, una sciagura. Morale borghese, dirà qualcuno. Sarà, ma le altre morali che sono sotto gli occhi di tutti, e che legittimano il furto come una quisquiglia, una minuzia, non offrono alternative di qualità. Esprimono solo questa terribile deriva delle norme, per la quale nulla più è sbagliato o offensivo o disonorante. La disperazione di vedersi la vita sfuggire tra le mani, il senso di colpa per un’attività fallita, la solitudine, possono indurre un’uomo a mettersi in strade sbagliate. Ma ci dicono anche che, forse proprio per questo stato di disperazione, il padre in questione non apprezzava più quello che avrebbe lasciato comunque ai figli,  e di maggior qualità.
Qual è, invece, la migliore eredità che un padre può lasciare ad un figlio? Qualcosa che molti della mia generazione hanno ricevuto. Un amore solido, senza vizi o capricci, che non si misura ad oggetti o banconote, ma che nutre quella fiducia in sé, quello sguardo luminoso sulla vita, che nasce dalla certezza di essere stati amati. Un amore così, questa è la migliore eredità: non ha prezzo, è invisibile, eppure è dentro di noi, anche tardi nella vita, anche quando alla fine si resterà soli. E’ un compagno di viaggio, come un sorriso che ci ha benedetto e non ci lascerà più. Nessuna avversità lo potrà appannare, neanche nei momenti di peggiore delusione o disincanto. E’ quell’affetto generoso di attenzione, ma anche di giuste correzioni e di fermezza, con cui un padre che ami davvero i propri figli coltiva i loro talenti, la loro capacità di essere se stessi. E corregge, o almeno lima, con affettuosa costanza,  i loro difetti. Quel sorriso tenero e divertito con cui segue gli esperimenti esistenziali dei rampolli. Salvo intervenire in soccorso, se il figlio o la figlia torna a casa realmente o metaforicamente con le ossa rotte, purché in quell’errore, in quell’incidente, siano rispettate tre regole d’oro: 1) capire perché si è sbagliato, o si è rimasti feriti, per non ripetere quell’errore; 2) assumersi la responsabilità di quanto è successo, se dall’analisi dei fatti è evidente che la “colpa” non è sempre, come oggi succede, del resto del mondo, ma della creatura in questione; 3) e riparare i danni fatti, se nell’imprudenza, nella bravata, ma anche nell’incidente si è fatto del male ad altri. Non è esente da tensioni, o incomprensioni, un rapporto così. Perché è intenso, perché è vivo, perché anche nello sguardo più affettuoso c’è un progetto per il figlio, che il figlio potrà, o dovrà, disattendere, per essere compiutamente se stesso. Ci sono dei silenzi anche lunghi, in questo amore. Periodi in cui un padre deve saper aspettare che il figlio torni, simbolicamente,  a casa, dopo un  viaggio  solitario, in cui ha sperimentato, non sempre e non solo, le parti luminose di se stesso. Di questi padri, solidi e affettuosi e fermi, e delle loro eredità perdute ho nostalgia, quando mi guardo intorno. Perché in questa deriva delle norme, che è specchio dell’assenza dei padri, abbiamo perso qualcosa di essenziale. Anche alla nostra felicità.

Educazione Furto / Ladrocinio Rapporto padri-figli Riflessioni di vita

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